Ventisei. Il supereroe

C’è una bella piscina a un quarto d’ora a piedi da casa nostra. Purtroppo con le ultime restrizioni è fuori dal raggio di un chilometro consentito agli sportivi. E poi le piscine le hanno chiuse da un pezzo.
Peccato.
L’acqua piace a tutta la famiglia e ai bei tempi ci andavamo abbastanza spesso.
La figlia ha anche tentato la selezione per il nuoto sincronizzato, un paio di anni fa. Cercavano piccole sirene, lei era più ranocchia, non sapeva ancora nuotare a stile e ha fatto la sua prima vasca completa proprio in quel tentativo di superare se stessa. Non l’hanno presa, ovviamente, e non credo ci riproverà. Ma vedere la sua grinta ci ha commosso. Gli altri genitori erano stressatissimi per la prestazione delle figlie, noi avevamo i lucciconi.
Il marito in piscina si sposta senza fretta e una bracciata dopo l’altra macina metri con la sua flemma efficace.
Il figlio invece ha recuperato solo recentemente il suo rapporto con l’acqua. Ci va anche con la scuola e si diverte, ma è stata una lunga salita. Ora è arrivato in cima, si tuffa con gusto e si gode il silenzio dei fondali. Sembra un paradosso, ma adora l’apnea.
Ognuno ha il suo approccio.
Io non so. Ho rischiato di affogare da piccola.

Sono la nipote grande e mi viziano un po’. Un sabato di luglio gli zii mi vengono a prendere e mi portano in una bella piscina all’aperto. Ho otto anni, faccio il corso di nuoto durante la settimana, ma non mi piace. Mi faccio venire un mal di pancia strategico di tanto in tanto per uscire prima o saltare qualche lezione, così il mio livello è scarso. Nuoticchio ma solo dove tocco.
Lo zio mi indica un tavolino a bordo piscina oltre il quale non devo andare. Da lì in poi l’acqua diventa alta.
Tranquillo. Lo so.
C’è tanta gente, fa caldo. Gli zii stanno un po’ con me, poi escono a stendersi al sole. Io gioco agli spruzzi e mi tuffo a struzzo e riemergo e mi dimentico del tavolino. O meglio lo confondo con un altro, uguale uguale, ma più in giù. Non faccio in tempo a pensare all’imbroglio dei simili, faccio un passo a vuoto, i piedi non hanno più l’appoggio e vado sotto. Bevo, annaspo e non posso gridare. È solo panico, ma sono piccola e non torna il respiro.
Lo zio si tuffa con la maglietta addosso. Mi ripesca dal caos di bolle e cloro. Mi sgrida senza convinzione. È solo sollevato. E contento.
Nei miei ricordi scrosciano applausi, c’è anche qualche fotografo che immortala la scena, per fortuna non ci sono ancora i social a deridere il metro e mezzo d’acqua colpevole di tanto spavento.
Io mi sento salva. Lo sapevo: lo zio ha una doppia identità che nasconde dietro gli occhiali, come Superman.
Annegare in una piscina pubblica è altamente improbabile, come morire di influenza. Ma perché no?
A volte basta un passo falso e smetti di respirare.
Ma ecco il supereroe che ci viene a salvare, dietro un paio di occhiali.
O una mascherina.

salute!

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