100 e venticinque. Abitudini

Hai messo la sveglia?
Domani a che ora esci?
La buonanotte da queste parti ha il saluto programmato. Quasi mai alla stessa ora, sempre con le domande di rito. Perché anche se c’è scuola – domani è l’ultimo giorno – l’orario di riapertura occhi è variabile.
Il figlio può entrare alle otto, alle nove o anche alle dieci il venerdì della settimana b. La figlia sempre alle otto e venti, tranne il mercoledì. Il marito dipende. Riunioni all’alba non ne ha, ma se deve essere in ufficio presto la levataccia si impone.
Che per lui le sette sono diventate un orario difficile da quando ha al massimo mezz’ora di strada, eventuali code comprese. Ha archiviato da tempo gli anni da panettiere o le partenze per Milano alle sei e venti per non rischiare le due ore a passo d’uomo. Qui i tempi e le distanze si sono ridotti e gli orari si sono adattati di conseguenza.
Ma quando l’agio diventa abitudine crea qualche disagio.
Perché, pur approfittando volentieri della nostra quotidianità contingente, non possiamo certo fare affidamento sull’orologio interno che ci apre gli occhi in automatico.
E dove non c’è routine c’è la sveglia.
Anzi tre.
Punto tre sveglie.
L’ora giusta per alzarsi è una questione di equilibrio.
Fra il sonno, la necessità e l’urgenza.
La prima melodia scioglie dolcemente dalle braccia del buon Morfeo. Si tratta di acqua che scorre con note delicate, una carezza uditiva, perché è sempre troppo presto per interrompere i sogni.
Ecco, magari ancora un attimo, che vedo come va a finire.
Dopo cinque minuti scatta la seconda suoneria cinguettio deciso di uccelli – pronti pure a beccarti – che sogna sogna, ma guarda che non sei in vacanza. Alzati!
La mano che la zittisce è quasi felice. Taci che ho ancora altri cinque minuti. Perché nulla vale quest’ultimo intervallo fra la seconda e la terza chiamata. Un’attesa consapevole, quasi una rivalsa: sono io a decidere quando è ora, non tu, ciarlatano di un telefono camuffato da paladino del mattino. Brutta sveglia a scadenza decisa a priori.
La sfida è aperta. Vincerò io alzandomi poco prima del terzo richiamo, padrona del giorno che inizia, o tu, dallo squillo prefissato per essere inesorabile e spaccatimpani?
Ogni giorno è una battaglia.
Solo mia, perché il resto della truppa arriva di conseguenza dopo le trombe del giudizio.
Il figlio ogni tanto si alza ancora in autonomia, ma sempre più di rado, l’adolescenza lo sta impigrendo.
La figlia ha il sonno leggero, eppure la mattina diventa un bozzolo di coperte e ginocchia che solo il minicane può espugnare.
Il marito è cresciuto a urla di madre siciliana e per lui il risveglio avviene solo con scosse di terremoto e carrucole a issarlo almeno seduto.
Le tre sveglie sono solo per me.
Sono io il bianconiglio arruffato che scalcia notte e coperte e scende prestocheètardi a fare il caffè. Nominata sul campo e con un pigiama a righe come divisa, svolgo il difficile compito di svegliare prima di tutto me stessa.
Fatto questo poi è tutta discesa.

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