L. Gli antichi fasti

Etabeta ha dimenticato di spegnere la ventola.
La sento frullare nel silenzio notturno. Speriamo che domani sia prevista un’incursione elettrica, altrimenti avremo il bagno più aerato della storia. Non è ancora agibile, ma manca poco. Quasi ci siamo.
Stamattina litigo con la polvere, le piastrelle abbracciano ancora il bianco dello stucco in fuga, ma ho una grande scorta di olio di gomito, pulitore universale. Con i vetri va meglio, resistono le tracce di adesivo che avrei dovuto levare prima, ma la luce entra prepotente dalla nuova trasparenza. È una piccola stanza bellissima.
In giardino la carriola di Babbonatale troneggia capovolta accanto al rosmarino. Lo Smilzo sta finendo di vestire il muro esterno, che quando piove gli ci vuole l’impermeabile. Domani forse sarà l’ultimo giorno di lavoro en plein air. Forse. Di sicuro i due portoghesi poi ci mancheranno. Il sabato senza di loro non sarà più lo stesso.
Non è un addio ovvio, casa nostra è un cantiere continuo. L’anno prossimo ci inventeremo qualcos’altro, magari la facciata, che la vicina di sinistra lato strada l’altro giorno è partita con un mazzo di fiori e con la proposta. L’unione fa la forza e l’armonia della via. Il marito è diventato color cemento, ma ci pensiamo. Promesso.
Esco in accelerata incontro al figlio, ci tiene a vedermi sul piazzale, rara mamma con mascherina sbracciante.
Inchiodo sulla vicina. Quella di destra lato strada. Stivali rossi sopra al ginocchio, giacca da ufficiale e gentiluomo, è elegantissima nei suoi quaranta chili scarsi. Rientra sola da giorni à midi. Strano. Ma non mi impiccio. Mi informa lei.
Stanno facendo valutare la casa da diverse agenzie. Ci sono anche le app, dico da finta esperta informata da un’amica in odor di trasloco. E che Frozen non lo sa? Da manager organizzata ha già pianificato tutto, non hanno fretta ma si stanno guardando in giro. Niente cambi radicali, solo un’altra partenza in un nido vicino senza lavori à prévoir.
‘Non siamo dei bricoleur e avere gente per casa stanca’.
Non lo dica a me.
E infatti non intende chiacchierare di restauro e arredo, ma informarsi sulle cifre d’acquisto, per avere un’idea del mercato di recente passato.
Loro sono arrivati una decina d’anni fa. Per lei è stato un coup de cœur, il consorte invece sopporta e abita. Si sono messi d’impegno appena entrati a sistemarla un pochino.
Après on a laissé tomber’.
Mi indica con lo sguardo l’intonaco che cade a pezzi, i sassolini bianchi nell’aiuola che aspettano Pollicino per una fine dignitosa.
Non sono mai entrata, ma mi racconta di un garage sovraffollato e di una stanza coniugale da rifare. Da quando abitiamo qui, tre anni a Natale, la tapparella della loro camera piccola è sempre rimasta chiusa e storta.
Sono case in serie, costruite negli anni cinquanta per gli operai della fabbrica di fronte. Stessa struttura, partenza comune, personalizzate ognuna a proprietario suo.
I gradini del loro viale d’ingresso sono in pietra azzurra, pregiata, tagliata ad arte. Noi lasciamo grezzo, in accordo con il vecchio muretto, ma ho l’occhio allenato e vedo il loro slancio nel bello. Peccato sia coniugato al passato. Nel presente preferiscono andare, cambiare nel nuovo.
Frozen non ha il nostro spirito vintage. E neanche l’età. Ha voglia di partire.
Noi invece si resta, tra la polvere e la ventola inceppata.
‘Mamma, non sei venuta!’
Désolée, figlio, mi son messa a parlare con.
Ma la vicina è già entrata, il profumo del tizio dell’agenzia è l’unica prova per l’adolescente affamato che mica si fida.
Rientro ai fornelli e preparo un caffè per Osho e compagni.
Chissà chi arriverà al civico accanto. E chissà se apriranno un cantiere.
Noi intanto si finisce. Poi staremo a vedere.






il riposo del guerriero

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