Rifiuti

È sera. La finestra si sta colorando dell’azzurro grigio che segue il tramonto. Sei seduto sul divano di fronte a me. Gli occhi su un libro aperto a caso. Sai che per essere comme il faut leggere non guasta. Ma spesso passi accanto alle parole e le metti insieme a caso senza fermare davvero queste strisce di senso ribelli.
Solidale, scrivo sfocata perché ho lasciato le lenti di sopra.
È sera. Di domenica. Ti guardo: i capelli tagliati ieri con papà, la maglietta nera, le spalle di muscoli appena accennati. Mangi come se non ci fosse un domani e cresci magro e nervoso. Consumi in pensieri e in quel tuo arrancare per appaiarti agli altri. Invano.
Stiamo in una casa dispersa in campagna dove con un banjo appena accordato a madonne si prova la musica per lo spettacolo di mercoledì. Ci ascolti e impari.
Quando e dove uscirà il tuo sapere resta un mistero.

Non hai superato l’esame. È giusto. Non hai il livello, ti avrebbero concesso una grazia troppo esagerata.
Ancora non lo sai. Te lo dirò domani.
Me lo aspettavo, un po’ ho sperato. Al contrario.
Perché sono stanca di vederti arrancare. Invano. 
A volte ti scopro guardarmi fisso come quando eri piccolo e cercavi istruzioni.
Ora non voglio dartene più. Te la devi cavare.
Ma continui a chiedere con gli occhi. Ti rispondo con i fatti. Non tutti li sai.
Ci provo. Non molli tu, non mollo io.
Anche se le energie si bruciano in giri troppo lunghi e vicoli ciechi e strade in contromano dove procedo a tentoni. Anche ora che scrivo e correggo le mie sviste di cinquantenne con le diottrie in discesa libera.
Domani forse ci diranno se sei preso nella nuova scuola, che con o senza brevet poco importa. Lì è tutta questione di autonomia.
Ti hanno voluto vedere ieri. Un’ora scarsa. Che mica basta a capirti. Che ne sanno di autonomia. Vedessero davvero quanta ne hai in più da un anno in qua.
Ridi sotto i baffi, sei goffo, danzi, sei buffo, ti perdi e ti chiedi perché. Sempre in bilico fra due mondi in cui non c’è un’impronta su misura.
Te la devi scavare.

La musica continua. Stona, risuona.
Ora giochi a dama con tua sorella. E guardi l’ora. Che è tarda per i tuoi ritmi. Ma cambi anche quelli. Piano piano. In décalage continuo con quel resto che corre.
Refusé in francese suona peggio di bocciato.
Refusée: l’hanno scritto anche a me a fine aprile dopo mesi passati a studiare. Vedi quanto ci assomigliamo.
Non ti ho partorito, ma mi sei più figlio di qualunque altro mio gene imperfetto potessi generare. E mi sei genitore per la vita che imparo con te mio malgrado.
Ti alzi mentre la colonna sonora di questa sera di luglio sfuma lasciando spazio al buio. La finestra senza persiane è diventata specchio: ti vedo raddoppiato mentre esci in controluce.
Sei grande. Sono felice.

σιγά σιγά

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