Giorno pensile

Arrivati alla fermata del bus.
Lei si siede per prima e inizia a frugare nello zaino alla ricerca della tessera, mai una volta che la prepari prima.
Lui, documento già al collo dalla soglia di casa, lascia mezzo metro abbondante e si accomoda in punta di legno. Con questo spazio fra loro occupano tutto il sedile.
La luce che si muove nel buio per raggiungere la postazione d’attesa dovrà stare in piedi. O forse mine de rien farà scostare il grande che non vuole essere toccato o importunerà principessa impegnata à réviser tutto lo scibile umano, tutorial di trucco compresi, per essere al top.
Quando il lavaggio denti si protrae quei due minuti di troppo e la condensa sui vetri mi dichiara guerra, li accompagno in twingo.
Ma se princi rispetta i tempi e il mio risveglio è meno imballato, metto stivali e sciarpa triplo strato e cammino con loro fino alla meta.
La strada deserta si anima allora di uno strano animale a fisarmonica: la testa marcia ansiosa di puntualità; la coda arranca sistemando gilet jaune d’ordinanza e zaino e giacca e capelli e criceti attaccati ai pensieri; il centro segnala presenza con la torcia del telefono, intanto si informa, rimprovera, rompe e parlaparlaparla dov’efinitalapilachevihodatomanonpuoiorganizzartiprimaaspettacichenonservecorreresiamogiusti.
Poi la strada al solito mi incanta e taccio.
Nessun motore, nessun rumore, solo passi sui sassi.
E respiri affiatati.

La campagna è nera di una brina che tira sui campi il suo velo senza futuro.
Per vederne i colori la luna non basta, occorre aspettare l’altro astro che pigro di freddo si stiracchia ostentando sfumature.
Oggi è in ritardo e sono le nuvole a prendersi il giorno.
Sono già sul ritorno a luce spenta.
Il bus mi raggiunge, mi blocco a bordo campo, mi giro e agito la mano.
Il conducente è un guerriero tatuato che accende la luce per salutarmi.
Nuovi ritmi. Nuovi riti.

scatto

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