Ottantanove. Il discarica day
La stanno riaprendo.
Con cautela, a targhe alterne e a singhiozzo, ma c’è da star felici. Se lunedì passiamo in zona verde potremo finalmente vuotare il garage.
Nel frattempo carico le certezze che vanno in discarica.
Prima i cartoni. Ci liberiamo degli scatoloni delle derrate alimentari portate dall’Italia a fine febbraio. Via anche l’imballaggio dell’armadio di camera nostra: il marito l’ha finalmente montato dopo anni di appendini provvisori.
Seguono la rete del giardino e i ferri arrugginiti insieme. Dicono che ci sono problemi e hanno rimandato di una settimana la data di consegna e posa di quella nuova, ma intanto alleggeriamo il prato devastato.
La Qubo blu ha ancora spazio. Sono indecisa se caricare anche la vecchia caldaia e i sacchi dei muratori che tanto torniamo domani. Dopo tre mesi non credo si offendano se ci pensiamo noi a gettarli.
Ma sì. Metti su. Già che ci siamo. Mi faccio prendere la mano.
Tolgo i guanti da lavoro per guidare, la mascherina è in posizione di riposo sotto al mento, ho pronto sul cruscotto il badge di riconoscimento. Vado da sola, prima di pranzo. I figli sono in pausa studio, il marito in riunione virtuale, il minicane spiaggiato, il giro in piattaforma ecologica l’ho vinto io.
Ho cinque minuti di strada e una coda di durata ignota, ma mi godo l’attesa.
Penso.
Che bello se insieme ai déchets casalinghi potessi buttare tante altre cose. Eliminare i rifiuti tossici e soffocanti. Quelli che si accumulano silenziosi, quelli troppo ingombranti.
Facciamo un gioco in levare, dico alle me che stanno ascoltando.
Il gioco del discarica day.
Sottotitoli: oggi butto, oggi tengo.
Oggi butto la paura del contagio, oggi tengo l’attenzione. Butto la distanza emotiva, il cuore lontano, tengo quella fisica finché non ne usciamo. Via la lamentela quotidiana sul capello che tira, la fatica di ripetere che andrà tutto bene. Tengo l’onestà del pessimismo e la speranza. Butto le telefonate a chi è in quarantena perché positivo. Tengo la loro salute.
Butto le favole false di chi si inventa migliore, tengo i difetti di chi continua a provarci. A migliorare.
Penso e la coda è finita. Alzo la maschera sul naso, abbasso il finestrino, allungo il tesserino e sorrido con gli occhi all’addetto in divisa.
Lui mi guarda, sbircia il contenuto della Qubo, poi scuote la testa e mi rende il badge.
‘Désolé, madame, ma lei non può entrare.‘
Ma come? Pourquoi? Non ho superato i due metri cubi, i materiali non sono radioattivi e ho appena lavato le mani con il gel.
‘Oggi è giorno dispari, madame. La sua è targa pari.’
Non ci credo. Non è possibile. Oggi è il…
Oh, caspita, nessuno ha girato il numero sul calendario stamattina.
Gli chiedo uno strappo alla regola, eddai sono in fila da mezz’ora. Chiuda un occhio, salti un numero, tiri fuori un briciolo di dna elastico. Niente da fare. Sorride solidale, ma mi fa segno di andare. Che sto intralciando il flusso.
Sospiro. Metto la retro.
La pazienza è un lusso, cari sogni miei.
È rimandato a domani, il discarica day.

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