Quindici. Evasione

A meno di ventiquattr’ore dall’inizio dell’isolamento familiare si è già verificato stamattina il primo tentativo di fuga.
La segnalazione è stata data dalla figlia che giocava nel giardino cantiere dove da un paio di mesi le piante e i fili d’erba si spartiscono lo spazio con gli attrezzi da muratore. Tutto è fermo da un po’, ma gli abitanti dell’area verde si sono adeguati alla reciproca compagnia: temo che sarà dura per loro quando si dovranno salutare. Nel frattempo fanno da sfondo ai giochi infantili che approfittano di un sole gentile.
A un tratto un grido squarcia il silenzio di un caffè sorseggiato con calma. Io e il marito scendiamo a razzo, memori di un grido simile annuncio di una caduta dall’altalena che era costata a me altri capelli bianchi e alla figlia una corsa in ospedale in una domenica di maggio.
Stavolta per fortuna l’urlo è decisamente sproporzionato, ma è necessario un intervento repentino. La controfigura di Idefix, quella palletta di pelo innocua che ogni tanto abbaia per ricordarci che c’è, ha approfittato di un attimo di distrazione del piantone e si è data alla fuga. Lo stava progettando da tempo, è evidente. Come minimo da quando ci sono state le prime prove di quarantena quindici giorni fa.
La crediamo oziosa e sonnolenta come un pomeriggio di pioggia. E invece.
Ha studiato il piano nei minimi dettagli, sbirciando il perimetro della rete e individuando i punti più deboli, celati dagli assi del terrazzo smontato. Ha preso contatto con un felino scavatore che in cambio di crocchette di prima qualità ha fatto un lavoro da vero professionista sul perimetro della zona di contenimento.
Uno schema semplice, una fuga rapidissima.
La pattuglia arriva sul posto in meno di un minuto top chrono e interroga i testimoni che giurano di non aver visto niente. Il figlio era distratto dall’allenamento di calcio con la parete della capanna in fondo, la figlia verificava la tenuta dell’amaca dopo settimane di inerzia, così il minicane ha approfittato della loro temporanea attività e si è infilato in un varco del fil di ferro. Eccolo infatti scorrazzare impunito nel giardino dei vicini e fare orecchie da mercante ai suoi coinquilini che lo reclamano.
Cerco di lusingarlo con allettanti promesse di ricompensa, poi provo con altrettante minacce. Il risultato è una signora con i capelli quasi neri che in pigiama a quadri si mette in ginocchio a pregare una rete e tende una mano al di là per elemosinare un contatto.
Ebbro di libertà il fuggiasco trova un tesoro nel prato e ci si rotola beato liberandosi anche del cappottino blu che indossava al momento della fuga.
I figli non si schierano e fanno il tifo per la madre, ma anche per il cane, il marito brandisce un ramo e recupera il reperto lanoso confermando la natura del tesoro. Io ricorro a offerte di cibo per un tentativo di riconciliazione. Invano.
Questo Idefix sporco e puzzolente ha superato il limite e mi guarda in tralice tra l’offeso e l’innocente.
Comincia a piovere. Il fango si appiccica alle ciabatte di gomma, gli inquirenti non hanno più nulla da indagare. E io mi sono stancata di aspettare. Ti saluto, arrangiati.
Ma mentre giro le ciabatte e mi dirigo verso casa, il minicane trotterella al di qua della rete e mi raggiunge.
Eccoci in bagno a levare gli ultimi residui di evasione. Poteva andare peggio, potevano esserci dei feriti. Invece occorrerà solo rinforzare i controlli nell’ora d’aria e pensare a un piccolo corso di addestramento una volta liberi.
L’educazione dei giovani è il fondamento di una società migliore.
E ci evita di vederli rotolare in tesori equivoci.

via di fuga

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