Diciassette. Sul posto
I nostri metri quadri sono sufficienti per permettere un’equa distribuzione dello spazio. O dovrebbero. Esserlo.
Spesso mi giro e trovo il figlio incollato alla schiena come un tempo alla fila in posta (prima dell’avvento del metro precauzionale). E neanche l’avevo sentito arrivare.
Talvolta il minicane mi finisce sotto un piede che manco fosse uno skateboard in bianco e nero. Il cane.
Il marito di solito comprime la distanza quando aiuta in cucina e sembriamo una di quelle scene da spaghetti western: questo piano di lavoro è troppo piccolo per tutti e due. Di solito risolviamo senza revolver.
La figlia ingombra quando volteggia spiegandomi lo stadio dei bruchi e ho la cesta dei panni in mano.
Ma sono io la peggiore. Vado sempre di fretta e chissà perché poi.
Giù dalle scale, su dalle scale, dentro in camera, fuori dal bagno.
E travolgo gente e oggetti che ostacolano il mio flusso costante e corrente per andare n’importe où.
Oggi mi fermo e circoscrivo lo spazio. Resto due ore sulla poltrona rossa con il giardino di fronte e trascorro la prima mezz’ora a litigare con il sito della scuola che si è già intasato, l’Ipad in una mano e il telefono nell’altra a tentare invano vari accessi e varchi su ponti mobili e sospesi. Invece di Tarzan è una mamma, amica e più mattiniera di me, a lanciarmi la liana dei compiti via mail. Non contenta, mentre i figli sono ancora neutralizzati dalla Tempête de boulettes géantes, tento di intrufolarmi in un servizio qualunque di consegne a domicilio.
E niente.
Mi buttano tutti fuori, non riesco neanche a inserire l’indirizzo di posta elettronica.
Ma non volevo ordinare, giuro. Era solo per capire i tempi di attesa, perché da domani anche in Francia saremo tutti in isolamento. Volevo. Per dire.
Credo ci sia un’app che vede che ho il frigo pieno.
Chiudo tutto. Alzo lo sguardo. Sono ferma e fuori c’è il sole.
Mi mancano le montagne.
C’è un posto vicino a Casa dove vorrei essere ora. Ci torniamo con i vecchi amici per ricordarci quanto è bello lassù. E portiamo gli amici nuovi per vederlo con i loro occhi. Nei giorni di vento il cielo è grande e si vede molto lontano. Fino a Milano. Fino a dove vogliamo.
C’è un posto kondà sto Spiti dove vorrei essere ora. È sulla collina dietro alla casa di Eleni e Kosta, la nostra famiglia greca. Da lì si vedono Atene, i tramonti più belli del mondo e il mare in fondo. Da lì una notte di undici anni fa abbiamo visto il fuoco che dilagava senza poter fare altro che aspettare e sperare.
Che passasse. E non ci toccasse.
Come tornano simili le attese e le speranze.

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