Trentatré. Di passaggio
Non posso più rimandare.
È passato troppo tempo dall’ultima volta.
Non ho più scuse.
Oggi stiro.
Ci sono camicie di cui il marito ha dimenticato l’esistenza e che si sono date alla pazza piega nell’allegra ammucchiata delle ultime settimane. Il telelavoro non aiuta a stimolare la discesa del livello e in questo periodo ci sono altre priorità. Per dire.
Ma alle sei, con la famiglia dispersa tra bici, libri e giardino, mi organizzo la seduta di recupero e riprendo possesso della mia stanza preferita quando mi tocca proprio. Piazzo l’asse davanti alla finestra, impugno il ferro e comincio ad estrarre la prima vittima dal cesto.
Fino all’ora di cena sono decisa a non mollare. Concentrata, dritta alla meta. Niente mi può distrarre.
O quasi.
Il fatto è che quando stiro penso e quando penso mi perdo via e guardo fuori. Il secondo piano apre la vista sulla fabbrica di lievito e sugli alberi che costeggiano il canale, sui fili della corrente spesso ci sono volatili canterini che si accordano con i rumori e i motori della strada. Quando c’era una vita là fuori, il marciapiede era un luogo di incontro e di passaggio. Ma ora…
Anche.
Sono le sei e cinque e vedo rotolare un pallone rosso con un bambino attaccato. Due passi indietro arriva un tizio con zaino in spalla e bambina-con-codini per mano.
Il ferro svapora e quando la nebbia si dissolve mi ricordo della nuova norma entrata in vigore per l’ora d’aria: oltre ai cani si possono portar fuori anche i bambini, basta che siano tuoi. Nello zaino ci devono essere i documenti comprovanti o magari è pieno dei volantini pubblicitari di una nuova startup che noleggia infanti ai childless.
Rifletto e stiro una manica.
Sei e otto.
Una signora in tuta fosforescente passa correndo.
Finisco la camicia e l’appendo.
Regolo la temperatura del ferro e prendo una maglietta bianca.
Sei e undici.
Un anziano con una borsa da palestra cammina furtivo. Che ci sarà dentro?
Spazzolo un paio di pantaloni e rifaccio la piega.
Sei e tredici.
Una coppia di ragazzi si ferma proprio sotto la finestra. Si guardano. Poi proseguono tranquilli. Non si tengono per mano.
La camicia azzurra è tutta spiegazzata, spruzzo un po’ d’acqua.
Sei e un quarto.
Un uomo in roller sfreccia con casco e protezioni anti caduta.
Lo incrocia uno sportivo fisicato e pelato, vestito come un canarino.
Vinco la battaglia delle grinze e appendo la seconda rediviva.
Sei e venti.
La terza camicia sta per essere portata a termine, quando un paio di scarpe rosa entra nel mio campo visivo. La proprietaria ha un impermeabile chiaro e tira un trolley.
Ci rinuncio. Lascio il lavoro a metà, stacco il ferro.
Mi sa che non ho capito.
L’ora d’aria è dalle sei alle sette. Per tutti.
Una specie di party fuori.
E io scema che son qui dentro a stirare.
