Cinquantadue. La disfida di barretta
Vince lui.
Anche se non è mai stata una gara. Piuttosto una sfida, un vedere fino a che punto siamo simili teste dure.
Dopo pranzo c’è il vizio del dolce.
Sì, ma non è obbligatorio.
Dai, mamma, un pezzettino solo.
La torta di ieri ce la siamo spazzolata. Prendi il cioccolato dell’uovo di Pasqua. Poco, però.
Ho fame. Lo finisco.
Non è fame. Te ne basta un assaggio. Tienilo per altre occasioni. Se lo finisci dopo non ce n’è più.
L’ovvietà e l’educazione alla parsimonia sono compresi nel pacchetto genitoriale. Che se il figlio fosse chiunque altro glielo offrirei tutto con piacere, ma da madre non si fa.
Il goloso apre il contenitore. Guarda me, guarda il cioccolato.
Tempo due morsi e le auspicate negoziazioni si trasformano in ostilità aperte.
Suona il telefono. È un caro amico che sono settimane che vorrei chiamare. Alla fine ci ha pensato lui. Mi conosce.
Non mi va di dirgli ti richiamo che sto litigando con il figlio. Così lo aggiorno sulla disputa in corso e mi siedo in poltrona per gestire le due attività in contemporanea.
Presuntuosa multitasking.
Mentre in cucina è in atto un ammutinamento, le chiacchiere da ritrovamento fanno riemergere episodi estivi, ricordi londinesi ed evocano persone che abbiamo un po’ perso. Come la ragazza che ero, senza doveri educativi e con moderate parolacce. Ogni tanto vorrei ritrovarla.
Ora però non posso. Il coinquilino preadolescente mastica a bocca piena e mostra trionfante il vuoto davanti a lui.
Mi parte l’embolo.
Scusa un attimo.
Frugo nell’armadietto e recupero cinque tavolette di cioccolato. La mia scorta per le emergenze.
Tolgo tutta la carta alla prima e la metto in mezzo al tavolo.
Messaggio chiaro.
Avviso l’amico che potremmo essere interrotti di nuovo e riprendo il filo.
Il figlio accetta la provocazione, afferra la tavoletta e la finisce.
Secondo round. Non batte ciglio.
Io continuo a chiacchierare, mi impongo nonchalance. Il terzo tempo non è quello amichevole del rugby: comincio ad averne abbastanza. Ma anche il mio avversario.
La quarta tavoletta si inceppa nel primo boccone che fa fatica a scendere. Da adesso è tutta in salita.
La figlia, che legge a poca distanza, interviene preoccupata, ma sei sicuro? chiede al fratello, e a me se chiamare rinforzi.
Rassicuro lei e chi è ancora in linea e scarto l’ultima.
Il figlio vince la nausea e la sfida.
Saluto l’amico e spengo il telefono, intanto mi alzo e torno in cucina.
Pulisco le briciole dal tavolo, finisco di lavare i piatti.
Non ho scuse, ho proprio sbagliato, ammetto mentre asciugo il lavandino e guardo il figlio che beve un bicchiere d’acqua.
Mi consolo pensando che erano tavolette bio da cinquanta grammi.

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