Sessantasette. Elogio del rosso
Oggi mi vesto di rosso.
Sto troppo in nero in questo periodo.
E tra sobrietà e lentezza comincio ad assomigliare a una porzione di riso in bianco. Sano, nutriente, niente da dire.
Ma vuoi mettere i peperoni in salsa di soia? Mi si accelera subito il metabolismo.
Tornano i colori. E un ricordo. Rosso.
Anni fa, vivevamo ancora liberi e in due ad Atene, mi proposero di preparare una narrazione su un antico vino ossolano. Non c’era la velocità informatica di oggi, ma grazie a quella fantastica connessione che è l’amicizia, recuperai materiale di documentazione sufficiente. Lo spettacolo alla fine non andò in porto e aspetto ancora di assaggiare il Prünent, ma tra antichi documenti e libri di settore, ho iniziato a bere vino.
Io che rasentavo l’astemia, una birra ogni tanto in compagnia, rischio di trasformarmi in sommelier. Mi informo sui corsi, progetto di vivere con un cappello di paglia tra vigne e cantine.
Tutta ‘sta cultura mi dà sempre un po’ alla testa, per fortuna il killer del cuore mi uccide i deliri e torno con i piedi per terra. Ma intanto imparo.
Il rispetto del gesto con un bicchiere in mano, il gusto del colore e la scoperta del bouquet. Fruttato, ambrato, persino invecchiato è un complimento.
Non abbiamo una scorta di alcool in dispensa, il marito va a Coca. Cola. Le bottiglie arrivano da Casa, da regali preziosi, da coccole natalizie.
Una delle rare volte in cui ho bevuto Champagne eravamo dai cugini di Metz. E ogni volta che sento anche solo parlare di bollicine, penso a quel fine settimana di festa, i settant’anni dello zio trasformati in modello di accoglienza e famiglia.
Perché dentro a un bicchiere non c’è solo alcool, ma ci sono storie. Ci sono le fotografie di chi abbiamo incontrato e ci manca.
La grazia degli aperitivi in Collina d’Oro, nella casa più colorata del mondo. Dove spero di bussare presto con una bottiglia in mano.
Per ora busso solo al bunker del marito. È quasi ora di cena e il pomeriggio è andato in una lezione di teatro virtuale con la classe della figlia. Era talmente interessante che a un certo punto il minicane, presente, si è messo a fare selfie.
Chiedo al rinchiuso quante email gli mancano e scendo a preparare la cena, i figli sguinzagliati in giardino.
Riempio un bicchiere, mi siedo in poltrona e mi faccio ispirare dal rosso.
‘Vada per le crêpes’ decido poi davanti alle uova.
Latte, burro, farina, un po’ di sale. La padella adatta però non ce l’ho.
Prendo quella per le piadine.
E mentre un altro rito si compie, brindo alla fortuna di avere amici romagnoli.
