Settantasei. Il viaggio
Sono in macchina. Da sola.
Ho un quarto d’ora di autoradio libera prima di arrivare e mi sembra un tempo enorme.
Quante canzoni fa?
Da oggi riprendo a insegnare italiano. Il mio unico allievo vuol essere in forma per l’estate, per girare l’Italia in moto. Ha preso quattro chili e perso una ventina di lezioni in questi due mesi, ma ciò che gli preme è l’allenamento verbale ed è disposto a sudare per recuperare.
È davvero simpatico, questo centauro neopensionato.
E il mio capo un tesoro. Ho carta bianca per organizzarmi come voglio, da qui a luglio. Anch’io vorrei finire. Lo stop è stato lungo, le ore sono un discreto pacchetto, dai sei mesi iniziali vanno spalmate su quattro, due già fatti, due da fare. Sottraggo, moltiplico, divido, calcolo, oh sommo mistero della matematica! Per fortuna posso contare sulla logica del marito e stasera a cena il calendario sarà servito.
Ma intanto ho davanti il mio piccolo viaggio di andata. Le strade qui al Nord sono subito grandi, veloci. Prendo la stessa che imbocchiamo quando scendiamo verso Casa.
Undici ore contro undici minuti, coda più coda meno.
Eppure.
Mi sorprendo in una dimensione dilatata, amplificata. Non c’è traffico, il flusso è regolare, la luce è forte. Le carrozze viaggiano a cavalli lanciati, i principi scarseggiano, ma qualche bel sorriso si intravede. Esco dall’autostrada con Amy Macdonald che canta This is the Life. I bravi deejay sono sempre sul pezzo.
Al semaforo c’è una ragazza con il velo rosa e la mascherina. Attraversa la strada una coppia, lui ce l’ha, lei no. Il signore con il cane neanche.
C’è vita per il quartiere che attraverso, finestre spalancate all’aria limpida. Quando parcheggio mi sembra di averci messo un’eternità.
Eppure.
Ho un’abitudine ai chilometri. Sempre fatti tanti per arrivare. Quando lavoravo in teatro ne facevo più di cento ogni giorno. Ma erano un soffio. Mi piaceva un sacco scendere dalla vecchia strada del Ceneri.
C’è una curva che svela la piana e il lago proprio là in fondo. L’ho fatta all’alba e con la neve. Quel punto per me è già un arrivo.
Perché sto raggiungendo un posto felice dove si pratica un’arte antica.
La mia mentore diventa un’amica. Quanti viaggi fatti insieme: il furgone giallo è un’altra casa, i burattini una famiglia. Lei è la strada più grande che abbia mai percorso, che mi ha insegnato il giro del mondo.
Ora si è fatto ristretto e un quarto d’ora mi sembra una vita.
Effetto clausura, tutto è distorto.
Quando ritorno il minicane mi accoglie come Argo davanti ad Ulisse. Sono passate quattro ore mica vent’anni.
Sì, figli, anch’io sono felice di rivedervi.
Ma no, lo confesso, non mi siete mancati.

(fotografia di Lna Pagli)
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Un (ap)plauso al deejay.
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