Ottanta. Ruoli

La figlia è una tartaruga.
Corazza a parte, il suo tempo di percorrenza è aumentato. Troppo.
Ha sempre avuto la tendenza all’approfondimento di cibo e azioni quotidiane. Per essere pronta le ci vuole il triplo dei minuti del fratello o un’urgenza stellare.
Da qualche giorno però si perde proprio via.
I capelli le arrivano quasi alla vita, sono il suo orgoglio e li spazzola con cura, ma quando lo fa ce la dimentichiamo. Riemerge senza nodi quando noi ci siamo già ingarbugliati nella giornata. E iniziare i compiti diventa un’altra cerimonia del tè, del me e del se. Soprattutto le ipotesi ci frenano.
Stamattina le propongo subito la variante dell’albero e la vedo reattiva. Magari funziona. Sposto il tavolo in giardino sotto una giusta dose di ombra e luce e l’accompagno nell’apertura del programma. Il lavoro di oggi è piuttosto semplice. La maestra si sta inventando lezioni da fare in classe senza il suo intervento, causa distanziamento e mascherina. E chi è a casa può godere del vantaggio dell’autonomia, con libertà di movimento e senza doversi lavare compulsivamente le mani.
Ce la puoi fare, figlia. Lo sento.
Ti affido l’alfabeto degli oggetti con immagine a fianco. Io vado a lezione di italiano.
Il figlio se la cava da solo, la terza lingua opzionale per lui è stata una scelta intelligente: per una volta minimo sforzo, massima resa e buonumore garantito.
Resto comunque nei paraggi, casomai servisse un tecnico per la connessione, approfittando del corso in cucina per avanzare con il pranzo e abbozzare la cena.
Giocare d’anticipo produce endorfine.
Affetto zucchine e sbircio anche la lezione sull’erba. La ricercatrice di parole si è incantata un paio di volte a naso in su, ma la vedo convinta.
No, ecco, si alza.
Viene sotto la finestra a mostrarmi lo stato dell’arte. È contenta, ma troppo lenta.
Se glielo dico però la rallento ancora di più. Lo so. Perché si impenna e si blocca nell’insicurezza.
Posticipo con un sorriso e un ‘vai avanti, scendo tra poco’.
La vicina è nell’orto.
‘Posso chiederle un nome di fiore che inizia per elle?’ Fai tutte le domande che vuoi, figlia, ma arriva in fondo, per favore.
L’alfabeto lo finisce nel pomeriggio, con vocabolario e fratello d’appoggio. I disegni sono fatti a penna, piccole miniature accurate. Ma niente grammatica, niente matematica, il programma è andato.
Poi la sento che ride con l’amica al telefono. Mi ha chiesto di poterla chiamare con il video, che domani lei ritorna a scuola.
La mamma le darà un picnic, perché la mensa non c’è. Per fortuna c’è il sole e mangiano fuori.
‘Mi ha fatto vedere il suo portapranzo, ha anche la borraccia nuova. Azzurra. È il suo colore preferito’
La cena è rallentata dal suo racconto.
Mangia, figlia, che sono le otto e mezza.
‘Era un po’ preoccupata per domani. Le ho detto di stare attenta, ma di stare tranquilla. E che la richiamo presto’.
Beve un sorso d’acqua. Mi guarda.
Non so quando l’ho persa per strada l’empatia, deve essermi caduta insieme alla pazienza e alla leggerezza.
Il ruolo di genitore pressurizzato crea bolle d’aria nocive, tra prestazioni e rispetto dei tempi.
Hai ragione, resto qui, seduta, ancora un momento.
Perché non sono io che ti aspetto, ma tu che vai lenta per farmi arrivare.
Nell’unico posto che conta davvero.
Qui. Ora.

hic et nunc






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