Ottantasette. Rimedi naturali
Oggi parte male.
Grande litigata con il figlio che non ce la fa proprio ad aspettare il suo turno.
Colazione in tempi record per delle lumache, ma i compiti con la figlia iniziano giusti e in un’oretta dovremmo cavarcela, perfetti per la classe virtuale del collégien. Invece rischia di andare tutto a monte perché il suddetto parte per il giardino, ma suona il campanello, chiama, si rende presente con una finta assenza.
La lava mi esce da tutti gli orifizi.
Madre natura salva i suoi figli con un bel sole che invita a prendere pause. La panchina in mezzo ai resti della rete non sarà da parco romantico, ma io e la figlia ci accoccoliamo e la calma torna fra noi.
Di sopra il marito litiga anche lui, ma con dei video di presentazione che hanno deciso di funzionare a singhiozzo. E che deve rifare daccapo. Lavoro buttato.
Il karma di oggi forse prevedeva un restate a letto che è meglio.
Magari si sistema il pomeriggio.
Torno dal lavoro con spirito francescano, ma trovo figlia in lacrime e figlio borbottone. C’è stata una disputa sull’imperfetto. Da qui la conferma che conviene sempre pensare al presente.
Asciugo occhi e tento l’approccio merenda, ma il clima resta teso. Non vedo l’ora che arrivi sera, per darci un taglio e passare a domani.
Il minicane lo sa e in questi casi adotta la tecnica letargo. Dorme dovunque e comunque. Sa che passerà.
Suona il telefono. La vicina senza barriere ci fa cenno dal suo orto. Sono spuntati i ragazzi che abitavano dalle galline l’anno scorso. Prima che arrivassero, le galline.
Con mamma al seguito sono passati a salutare. Non siamo mai diventati grandi amici, sono un po’ freddini per il nostro modo di stare insieme, ma io e la figlia ci precipitiamo: ecco la svolta. Pensiamo.
Saluti e baci virtuali lanciati da lontano. Come va. Tutti bene. Racconti riassunti. Fanno merenda seduti fra i porri, noi restiamo in piedi con sorriso appeso e minicane in braccio.
Sarà il rischio contagio, ma tra mascherine e distanze, la temperatura fra noi resta bassa. Pazienza.
La madre ci invita da loro uno di questi fine settimana. Ringrazio, tergiverso, abbiamo i lavori. Ma appena finiti facciamo una festa. A modo nostro, penso. E senza mascherine. Basta aspettare un po’. Tanto sono sei mesi che non ci vediamo. A presto, allora.
Voisiiiine!
Eccola, la furia bionda. Senza la rete che ci divide, la treenne scalza dei vicini corre verso di noi. Ridendo come solo a tre anni e a piedi nudi.
Recupera l’altalena e chi la spinge. L’umore sale di botto.
Arrivano anche i cinque anni di sinistra lato giardino.
Il piccolo si fa catapultare da noi da un papà un po’ imbronciato che lo sta sgridando pacato, si vede che non è davvero giornata.
Salgo a prendere bevande e generi alimentari carichi di cioccolato. Dalla finestra sbircio la tribù di giocatori senza frontiere.
Parte da qui il cambio di rotta.
Il figlio scende docciato e si comunica assente fino all’ora di cena. Il bunker si è liberato prima, ne approfitta per riprendersi la camera e guardarsi un film sui dinosauri senza rotture. Non dico niente sui benefici dell’aria aperta e del sole. Per una volta chissene. Ha quasi tredici anni, è normale. Magari un po’ meno che chieda il permesso, ma non glielo dico, che son soddisfazioni.
Non canto vittoria, so che basta un niente per mandare di nuovo tutto alle ortiche.
Un piede nudo infilzato e sanguinante, una spinta troppo decisa e giù di faccia dall’altalena, il marito che non ha trovato il biadesivo, il sugo bruciato.
Trattengo il fiato e arriva sera.
Qui al nord c’è luce fin dopo le dieci ormai, ma l’ora del riposo va anticipata.
Denti, preghiere, un capitolo veloce.
Tutti giù con le tapparelle e buonanotte ai sognatori.
Dieci ore di sonno fanno giorni migliori.

Dieci ore di sonno fanno giorni migliori, sì.
Ne sono convintissima anch’io.
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