Novantanove. Mi fermo qui
Ci sono momenti di troppo. Troppo rumore, troppo cibo, troppe parole, troppi noi.
Allora esco. Prendo il cappello che forse piove, la giacca che tira un vento cattivo e camminiamo, io e gli anfibi.
Attraverso la strada e c’è il canale. A quest’ora è deserto, dopo un sabato di bici e runner a recuperare le settimane ferme. Incontro un cagnolino con signora che mi saluta solidale. Forse è una fuggiasca temporanea come me, una boccata di solitudine e ritorno.
Ma non ho voglia di fermarmi per approfondire.
I due locali affacciati sull’acqua sono pieni di aperitivi allungati a cena.
È tornato il tempo delle babysitter, magari con la mascherina, che liberano le sere dei genitori mondani. L’ultima volta che io e il marito siamo usciti da soli una sera risale a boh, neanche ricordo. Rimedieremo, forse d’estate.
Passo accanto al bistrot dove ho pranzato una volta con il guru che ci dava una mano nei primi lavori. Io e il maestro di pennello avevamo macchie di pittura sui pantaloni, intorno gente vestita bene da pranzo di lavoro. Mi sentivo la principessa dei colori, una casa nuova da abitare, i figli a scuola al sicuro, uno sguardo amico di fronte.
Passo lenta e sbircio le persone dentro con le loro libertà ritrovate. Di ridere, vestirsi bene e stare a parlare.
A me adesso piace il silenzio. Attraverso il ponte e mi siedo sulla panchina azzurra. Qui tra un mese, pandemia permettendo, torneranno i pedalò e le canoe. Il canale si trasforma d’estate, copia le attrazioni al mare. Non può competere, ma cambia l’approccio e questo nastro d’acqua sporco e puzzolente si prende una piccola rivincita estiva.
Mi rimetto nei passi e capito in una riunione di condominio. Tutti i volatili del quartiere si sono riuniti attorno a un mucchietto di pane. Staranno decidendo come spartirlo. Un gabbiano antisociale afferra un grosso pezzo e si invola lontano. Gli altri restano immobili, non se lo aspettavano.
Due aironi cinerini si stagliano sul legno della chiusa, sembrano sentinelle severe che si litigano il turno di guardia. Uno sbatte le ali, l’altro fa una specie di inchino. Allora è una danza di guerra. O forse d’amore, che un po’ fa lo stesso.
Le papere giocano a chi sta sotto di più e ai tuffi di testa da fermo. Starei ore a guardarli tutti questi proprietari d’ali.
Quando il figlio era piccolo gli raccontavo spesso una storia di cigni che avevo inventato. Una famiglia faceva una gita e veniva imbarcata dai bianchi signori per assistere alla più grande festa lacustre che si fosse mai vista. Arrivavano da ogni parte tutti i tipi di uccelli, dalle aquile ai colibrì, e portavano prima pezzi di legno e di stoffa per costruire in mezzo al lago un grande tavolo con annessa tovaglia. Poi partivano in una cucina celeste a recuperare cibi e bevande d’ogni sorta. Si chiudeva al tramonto con musica e canti e la famiglia riprendeva la via di casa sui cigni di trasporto.
Al figlio piaceva. Lo calmava l’elenco dei volatili e dei cibi e si addormentava sognando banchetti mondiali. Era tanto allora, non ancora troppo. Ma con il tempo si impara anche a dosare.
Mi fermo e ascolto il vento che riempie la sera.
Il troppo di oggi è passato, è ora di tornare.

Spin-off
Mi fermo qui. Tolto l’orologio, mi sono seduta sotto l’unico rachitico albero che ho in ‘giardino’, ok per ora è ancora nell’era paleolitica dei giardini, ma abbi fede e lo vedrai tornare ai fasti dei vecchi tempi, quando chi se ne occupava…non ero io. Rientro ora, mi sento più o meno come i polpi di Paros. Te li ricordi? Mi hanno sbattuto sugli scogli avanti e indietro e ora sono qui molle molle ad asciugare. La mia testa è sempre un formicaio in piena attività, UUUUU pensieri, idee, progetti, commenti, strategie, UUUUU figli, nonni, fratelli, malati, sani, rompipalle, UUUU cena, spesa, scuola, lavoro…UUUUU CHE PALLE!!! E tu sei peggio di me, nella testa insieme al formicaio, ci sono farfalle che volano, cavallette che saltano e salmoni che risalgono la corrente al contrario! Le manifestazioni più evidenti di questa coabitazione mentale sono il tuo gesticolare eccessivo, tu spieghi tutto con le parole e lo rispieghi col corpo. Braccia, gambe, mani e un milione di diverse espressioni del viso enfatizzano ogni tua frase. Poi come dottor Jekyll e Mister Hyde sei una maniaca dell’ordine. Se passavo prima delle 10, a casa tua trovavo i bambini sotto domopak e tu che spicciavi casa alla velocità di Flash con tutte le braccia della dea Kalì indaffarate a pulire. Precisione maniacale che scompare in cucina, dove fai sempre un po’ di testa tua, con risultati… non pervenuti. Quindi non raccontare balle, non ti sei fermata, hai solo portato lo zoo in gita.