100 e uno. Di filo in fila
Stasera cucio.
Il tempo fuori è dalla mia parte. Piove leggero come fosse novembre e, nonostante le ore di luce sveglie fino a tardi, sembra già notte fonda.
Tant pis, l’idea è di dormire comunque in orario ragionevole.
Appena avrò finito di dedicarmi al punto a mano.
Perché gli elastici cuciti a macchina tengono quello che vedono.
Ho fatto la furba, tentato la scorciatoia meccanica, ma la confezione di una mascherina richiede ago e filo alla vecchia maniera. Almeno per me.
Mi sta bene. Ho rimandato l’atelier couture finché ho potuto, ho attaccato elastici a qualsiasi cosa per adattarla. Ma dopo che il marito mi ha beccata con una mascherina in velluto blu di quelle che gli danno per dormire sui voli internazionali, ho capito e capitolato.
E viva i tutorial per mamme in pigiama che vorrebbero tanto avere un Armani.
O un Valentino. Che in emergenza non si sa più a che stilista votarsi.
Il lavoro però procede e in capo a un paio d’ore, tra cadaveri di pezze sacrificate alla causa e metri di filo ingarbugliato, alzo trionfale il prodotto finito. Da un paio di vecchi pantaloni in lino è nata lei: verde militare – che qui siamo in guerra – è abbastanza proporzionata e di buon carattere, si adegua anche ai musi lunghi.
Il figlio sopporta male le ore in classe bendato.
La scorta di protezioni in tessuto, fornita dalla vicina sarta provetta, purtroppo non andava d’accordo con la sua morfologia.
Perché con gli occhiali è tutto un altro respiro.
Stamattina la condensa sulle lenti è tale che ci vogliono i tergicristalli. Utili in caso anche per togliere le gocce di pioggia. Ma il brevetto non c’è e con due strati di disturbo davanti agli occhi il pirata è un tantino nervoso.
Mamma, non voglio l’ombrello. Metto il cappuccio.
E parte in rincorsa.
Io dietro con il parapluie familiare che lancia colori dappertutto. Ma non basta un arcobaleno impermeabile per migliorare l’atmosfera.
Sul piazzale della scuola le croci sono già tutte occupate, i soldati avanzano svelti. L’organizzazione funziona, il numero ridotto e le settimane alternate permettono ai cinquecento allievi di frequentare l’ultimo mese di lezioni in tensione controllata.
Alzo lo sguardo e vedo un piccione ripassare stupito. Sì, amico, sono solo zaini e ragazzi che si muovono sulle caselle di uno strano Monopoli.
Avanza di una senza passare dal cancello. Prima ti misurano la temperatura.
No, tranquillo. Se è alta non entri e la ricreazione si fa ognuno nel suo quadrato. Il cerchio non piace, troppo difficile da disegnare.
In classe i banchi sono distanti, ma oltre alla maschera non c’è nessun’altra barriera.
Dicono che in Italia metteranno gli studenti in scatole trasparenti.
Chiedi ai tuoi soci, caro piccione, che ne pensano di questi strani ascensori di cristallo.
Voi che la libertà sapete cos’è, andate a raccontarla a chi di dovere.
E se non capiscono il messaggio sganciate un paio delle vostre bombe.
Tanto siamo in guerra.

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