100 e quattordici. Estate

Sono quasi le undici e temperiamo matite.
Buffo modo di conciliare il sonno, ma domani la figlia riprende la scuola, il suo astuccio ha bisogno di una piccola messa a punto. E noi si fa tutto à la dernière minute. Ci incarichiamo io e il marito delle riparazioni, lei si è addormentata da poco tra recriminazioni e singhiozzi. Ha accusato il colpo in questi giorni, tentato di distrarre il pensiero, ha cantato, danzato, sindacalizzato, ma alla vigilia paff. La bolla è scoppiata.
Stare a casa le piace e ormai che ci fa? saranno otto giorni in tutto, che il mercoledì non si va. Eppure più la vedo disperata, più mi rendo conto che le farà bene rientrare, anche se per poco, anche se con tutte le precauzioni e paure del caso.
È un solstizio d’estate a rovescio, con l’inizio dei corsi e noi qui a far la punta alle mine. Dalle finestre aperte entra l’aria ancora chiara e le risate di qualcuno che passa per strada. In piazza c’è la festa della musica, ridotta di dimensioni, dislocata, eppure mantenuta. Ogni anno ingaggiano nomi che fanno pubblico e riempiono raso l’ippodromo. Gli sbarramenti e le misure di sicurezza sono collaudate, le strade bloccate con bilici e cemento. Prevedono e stoccano agenti e mezzi pesanti. Ma contro il minuscolo terrorista si sono ritirati tutti, numeri e spazi, perché la partita si gioca su un terreno sconosciuto e troppo grande da controllare. C’è una ragionevole paura con cui fare i conti, non possiamo mentire pur nascosti dietro una maschera. Eppure occorre riprovarci, dopo tutto ‘sto inverno all’inferno.
La famiglia in Italia ha pranzato all’aperto, li abbiamo chiamati e visti, ci hanno mandato un video del lungo tavolo nel sole. Il figlio li vuole salutare uno per uno, che non importa fare lunghi discorsi, basta che ci siano tutti.
Tranquilli, nonni, tra poco arriviamo. Così mangiamo insieme il polipo. E anche il pollo con le patate.
È vero, oggi abbiamo organizzato le date.
Siamo cauti, non ci precipitiamo, ma pensare al prossimo ritorno a Casa ci indomenica le giornate.
Come aspettare Natale che è ferragosto. E chissenefrega se siamo fuori stagione.
Arrivano come d’ovatta le note, le sento e invito il marito a ballare. Appoggia il temperino e mi guarda con il verde spuntato in mano.
Eddai, antiBolle, è la festa, è l’estate.
Fa un mezzo giro e sorride, poi riprende il lavoro.
In alto la musica, sempre. Ma dobbiamo finire. Tesoro.

aspettando le cicale

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