100 e diciassette. Di necessità virtù
Il mercoledì è il giorno dell’equilibrio.
Da trovare o perso del tutto.
La figlia, elementari, non ha scuola. Il figlio, medie, va solo al mattino.
Fin qui tutto bene. Non potendo più contare sulla presenza del marito, da lunedì rientrato nell’ufficio vero, mi porto mezza prole al lavoro.
Con l’allievo siamo d’accordo: lezione all’aria aperta, approfittando del clima gentile. Faccio la guida turistica in italiano e descrivo sul posto un piccolo centro delle Fiandre. La figlia fa la comparsa muta e torniamo in tempo per mezzogiorno.
Organizzazione impeccabile che crolla come un castello di carte di fronte all’imprevisto.
Il figlio ha due ore buche. Due.
Ricalcolo.
Se entra dopo poco male, avevamo un margine alto, lo mollo alle nove meno dieci e per le nove e mezza siamo a destinazione.
È l’uscita che impenna il piano e fa rotolare giù tutte le palline.
Alle undici sono ancora a lezione e non posso volare per quanto mi ci stia applicando da un po’.
Prendo la chiave di casa, mamma.
Echeccevò? (cit.)
Ci vuole che fino a ieri ti dovevo allacciare le scarpe e ora entri ed esci dal domicilio senza suonare. Indipendente e tranquillo.
Che non sono proprio i due primi aggettivi che userei per descriverti, figlio.
Eppure.
Questione risolta. Il portachiavi con il pesce di legno si trasferisce nello zaino preadolescente e speriamo ci resti.
La truppa si avvia.
Fa caldo a Bailleul, sulla piazza si affacciano il Comune e la torre dell’orologio. Peccato che il carillon non stia suonando, ci fanno i concerti con le campane, rubando la scena ai campanili delle chiese in una strana convivenza tra sacro e profano. I mattoni rossi delle case ricordano Bologna, al posto dei tortellini ci sono piatti di carne dai nomi impronunciabili. Siamo in pieno regno Ch’timi, dove hanno girato Benvenuti al nord, un film che solo ora riesco a capire.
La figlia fa la turista con cappellino e bottiglietta d’acqua. L’allievo è di casa, vorrebbe offrirci un caffè. Grazie anche no. Le undici e mezza.
Dobbiamo tornare. Chissà se è riuscito ad entrare.
C’è coda in autostrada, i venti minuti diventano quaranta. L’aria condizionata è andata a farsi un giro. Per fortuna si viaggia a passo d’uomo così posso abbassare il finestrino. Però sudo lo stesso.
Figlia, che dici? Facciamo uno squillo?
E se poi non risponde?
Diamoci fiducia.
Arrivederci a domani, signor allievo. Come compito faccia il riassunto di questa mattina. Ometta la mia ansia vorrei aggiungere, ma diamogli fiducia.
Parcheggio e non faccio in tempo ad alzare gli occhi sulla porta che lui è lì in ciabatte e minicane in braccio.
Vi aspettavo. Siete in ritardo.
C’era traffico, sai com’è.
La tavola è apparecchiata, la pasta da scaldare prevista è già nei piatti.
Preparo al volo un’insalata e i figli si raccontano lezioni e gita.
Io guardo il pesce di legno appeso a testa in giù sul gancio delle chiavi.
Grazie, amico. Ti devo un favore.

ci voleva