100 e diciannove. Giù da lì

È un po’ che la curo.
Quando esco di casa le lancio uno sguardo finto distratto, controllo lo stato dell’arte.
Stavolta non mi inganna.
L’ho lasciata invadere lo spazio una volta e mai più. Mi ci sono volute ore per rimediare ai suoi danni.
Mai abbassare la guardia, soprattutto con tipi come lei, che fanno tanto gli innocui mentre nascondono piani di invasione letali.
Una sua sorella ha quasi ucciso il poveraccio a cui viveva attaccata da anni. Ha scelto bene la sua vittima, ottima posizione, profilo basso, pochi e discreti vicini. Ha potuto agire indisturbata nell’ombra, crescere con calma fino a diventare un tutt’uno con la sua vittima. Per molto tempo li credo una cosa sola, nonostante l’evidente differente natura. È brava a crearsi spazio con l’alibi della precarietà.
Per fortuna un cambio di prospettiva e di luce mi mostra la verità di una clandestinità che non può più durare.
A questo punto solo maniere forti: taglio alla base e morte progressiva di tutte le periferiche nel frattempo cresciute.
Quanta pena. Il tronco rimasto nudo, sembra ferito. Sarà dura per lui ricominciare da solo. Mi chiedo se non preferisse continuare a morire ogni giorno un pochino, soffocato, condannato, ma legato a qualcuno.
Ho deciso io per lui, mi è sembrato giusto così. Eppure.
Se fossi arrivata prima non sarebbe successo.
Così ora prevengo. Perché non si ripeta più.
Torno dalla spesa, sistemo in fretta la casa, metto i guanti e scendo. C’è odore di lievito nell’aria, una minaccia di pioggia.
Tant mieux, non lavoro sotto il sole.
Mi inginocchio e inizio a cercare la mia nemica. Inutile partire dai bei riccioli sulla lavanda. È ancora giovane, esile, rischio di farle male. Devo intervenire sulle radici, estirparle intanto che sono piccole e fragili pure loro. Il resto appassirà e cadrà stecchito.
Anche la vecchia rosa è stata attaccata: avvinghiati ai nuovi boccioli ci sono tre invasori. Se non li elimino avranno la meglio sulla fioritura.
Il rosmarino se la cava bene, ha una strategia difensiva tutta sua, ma sembra funzionare. È da studiare, magari ci scappa un bio diserbante.
Un’altra volta, però. Ora mi devo sbrigare.
Si è alzato il vento, le nuvole corrono a radunarsi in un grigio sempre più fitto. Zappo, strappo, butto. Il mucchietto di cadaveri alla clorofilla giace sul marciapiede. Gocciola grosso ora. Pulisco veloce il contorno, rassetto l’aiuola.
Tolgo i guanti e passo la mano sul piccolo timo. Una carezza leggera. Mi piace respirarlo sui palmi. Lo faccio spesso. Per questo – cespuglio di fiori gialli e rosa antica a parte che son vecchi inquilini – ho piantato solo profumi qui davanti.
Arriva il temporale. Devo rientrare.
Ci vediamo, signorina, non ho finito con te. Ormai ti curo, non hai scampo. È solo una tregua causa maltempo.
Lo dico sottovoce, cose nostre.
Lei ondeggia sfrontata, una ciocca libera cade per terra. Sembra tanto dolce e tenera, ma non mi faccio imbrogliare.
Con l’edera è così.
Una vera pianta di erba.

vittime potenziali


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