100 e venti. Facciamo che ero
La figlia gioca con le Barbie.
E fin qui niente di nuovo. Pettina, spettina, vesti, svesti, metti le scarpe, togli le scarpe. Un gioco da ragazze. Oggi però raggiunge livelli interessanti. A tratti inquietanti. Perché lo fa in diretta video telefonica con la sua amica. Ma andiamo con ordine.
Sabato pomeriggio. Siamo appena rientrate dalla chiusura dell’anno catechistico, un’ora di canti con mascherina, un padre nostro distanziato e arrivederci a settembre. Rispetto al previsto si sono visti poco, ma meglio di niente, almeno un saluto prima delle vacanze ci sta.
Diversa è la sorte dell’amica che doveva essere battezzata domenica. Scelta tardiva, personale e presa con il consenso dei genitori per niente credenti. A nove anni è un gran passo, che purtroppo è stato annullato dal periodo epidemico.
È che io sarei pure la madrina. Unica volta nella mia vita, chissà se sarò all’altezza. Poco male, ho ancora tempo per allenarmi, dato che la mia figlioccia è in partenza con la famiglia per Tahiti e la cerimonia è sospesa a poi vedremo.
Questo è il giorno del loro pre-trasloco. Cartoni in spedizione, mobili in deposito, milioni di imprevisti da organizzare. Il marito è partito dopo pranzo con la Qubo a dare manforte, io resto a presidiare i lavori al forte. Tanto più che babbonatale è malato e c’è solo lo smilzo a portare la fatica e la griglia. Ma questa è un’altra storia, forse una prossima puntata.
La figlia sta facendo merenda quando suona il video citofono portatile.
Ti va di giocare con me?
La compagna non è sotto casa, ma sdraiata in quel che resta della sua cameretta smontata. Ha tenuto una Barbie per il viaggio e ha un’ora da passare intanto che di sotto il mondo che conosce sta cambiando.
Prendi anche il Ken, lo chiamiamo Gabriel.
Ha solo una camicia rosa. Provo a infilargli questo pull marrone. È piccolo, no dai, gli entra.
Ci vogliono scarpe rosse per la festa.
Eccole. Con il tacco.
Metto un po’ di musica, ti va? Alza, che non si sente.
Guarda che belle queste paillettes.
Ce ne sont que des trucs de filles ma c’è un che di poetico in questo tenersi compagnia da uno schermo all’altro. Fanno le prove per quando saranno a dodici ore di fuso di distanza. A me sembra uno spazio immenso, loro lo colmeranno di risate e giochi come se fossero insieme.
Durante il lockdown l’hanno fatto un paio di volte, non era così urgente. Sapevano della reciproca resistenza e questo bastava. Ora forse c’è un’altra separazione che si è insinuata nei loro pensieri. Quasi ci siamo. L’aereo è vicino e porterà lontano.
Fuori campo, sottovoce: Mamma, sono stanca.
E diglielo. Che problema c’è?
Mi dispiace salutarla, non vorrei ci restasse male.
Strano, di persona si riesce ad essere più diretti. La fragilità nella connessione è amplificata e forse distorta.
Intervengo con la verità e tutto fila liscio.
Ciao, a domani. Magari cantiamo? Tu metti la base, il microfono lo tengo io. Ti registro da qui.
Le guardo salutarsi con un bacio soffiato che appanna il vetro del telefono.
La vera amicizia è davvero senza frontiere.
