100 e ventinove. Giocattoli

Stiamo per essere travolti dagli oggetti.
Occupano spazi sempre più ampi, si intrufolano in angoli riposti, trasformano le stanze in ripostigli.
Ma oggi li sistemo io.
Complice una seconda ondata di pacchi e borse dagli amici in partenza, mi trovo assediata sul pavimento davanti alla finestra con i figli accovacciati vicino a me. Sembriamo un gruppo di cospiratori o di gente che fa poco yoga. Intorno a noi plastica, gomma e surrogati di legno tentano di trasformarci in totem sacrificali. Al dio del non ce n’è mai abbastanza.
Inizio con il separare i materiali duri dai giochi grandi. Occorre conoscere il nemico per ridurne la pericolosità.
La figlia rintraccia la scatola con un tostapane di plastica. Ma non l’avevo già eliminato in Italia?
Mamma, è arrivato adesso.
Come zombie molesti a volte ritornano dalle vite degli altri.
I guerrieri per gioco però danno sfogo all’addestramento e si mettono a studiare attentamente le istruzioni.
Sono neutralizzati anche loro per almeno mezz’ora.
Ecco un lato positivo di questa battaglia per la libertà.
Rimasta sola proseguo la marcia verso il monte delle bambole. Sono mezze nude o vestite da principesse, i capelli per lo più arruffati, trovo il mezzo busto di Frozen con un pettine azzurro incastrato nella treccia. Ma cosa se ne fa una bambina di un moncherino di cartone animato? Prove da killer parrucchiera?
Accanto c’è un’altra pupa grande senza un braccio, lo sguardo vitreo. È di sicuro la comandante. Mi ricorda La Cattiva di Ian McEwan. Un pezzo di letteratura pseudo infantile che ho rivisto nei sogni a stomaco pieno.
Le metto nei sacchi. Via dalla vista intanto, a voi penserò dopo. E diventano tre colline nere appoggiate al divano.
L’incubo continua con i giochi in scatola, puzzle e didattica da appartamento. Li impilo uno sopra l’altro. Costruisco due torri precarie, in mezzo rovescio le macchinine del figlio.
Lo richiamo al dovere e insieme togliamo cadaveri di ruote e pezzi di carrozzeria. Le altre si allineano in varie file di venti, riproduzione metallica di un esercito schierato.
Sta diventando divertente questo gioco all’eliminazione. Vuoi vedere che riusciamo a farci amicizia con le ingombranti presenze?
E infatti. La figlia ha scovato una coccinella su una foglia e la attacca la corrente. Si accende e illumina il campo. I colori sono sgargianti, ma abbastanza armoniosi. Entra un po’ di sole dai vetri e si appoggia sul cappello a paillettes.
Mi alzo e indietreggio in cucina. Ci vuole una buona merenda per riprendere il filo, per capire la prossima mossa da fare, la strategia da adottare.
Come al solito pane e nutella danno una botta di vita agli spiriti troppo accartocciati.
Fuori di qui, andiamo a fare due passi.
Il minicane si libera dalla morsa di un lego e raggiunge le scale per primo.
Il verde scintilla dopo la pioggia passata, non fa caldo e si respira pulito.
Andiamo, ragazzi, fermiamoci qui. La guerra non è mai una soluzione, troppe perdite, troppi feriti. Io opterei per una distruzione totale. Via tutto, tabula rasa, vuoto assoluto.
Mamma, che dici?
Avete ragione, scusate, mi sono lasciata trasportare. Andiamo, ragazzi, facciamo due passi.
Mentre ci incamminiamo sto zitta e guardo in su, la casa sola in balia degli oggetti.
Li chiamiamo giocattoli, ma sono armi contro.
La fantasia con loro è compromessa, l’adipe si accumula, il tempo si anestetizza.
Tutti così? O c’è chi fa il suo dovere di compagno fedele, di ricordo d’infanzia?
Il guaio è che nella massa io mi confondo. Rischio di buttare anche il prezioso. Mi fermo, rifletto.
Prendo distanza da casa e casotto.
Alla peggio gli lasciamo il piano di sotto.

ghigno o sorriso?

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