100 e trenta. Arrivederci, ragazzi
Girato l’angolo sono scomparsi.
Domani sono attesi a Parigi e giovedì saranno dall’altra parte del mondo, a dodici ore di fuso da qui.
Ce l’hanno fatta a passare. Nonostante il caos causato dalla pandemia, che ha messo ritardo in tutto. Nonostante il rischio contagio, ma stamattina hanno fatto il test. Negativo.
Sono riusciti a passare per abbracciarci e dirci au revoir, anzi no, à bientôt.
La prossima volta mi farò spiegare il dettaglio della differenza. Oggi li saluto e riesco a non piangere. È stata troppo veloce lei, ha mollato prima gli ormeggi e delle due almeno una deve restare lucida e sobria. Questo il patto non scritto ma condiviso fra noi. Amiche.
I mariti stanno intorno a parlare di cose pratiche, le figlie a pettinare Barbie e minicane come se si rivedessero domani. Il figlio distribuisce grissini e carote che un ultimo aperitivo ci vuole proprio.
Lo preparo con cura, magari un po’ troppo in anticipo. Patatine, pane alle olive. Lo tzatziki di conforto è in fresco insieme a una bottiglia italiana che dovevamo stappare qualche mese fa. Verrà buona stasera. Forse. Chissà.
Perché alle sei non sono ancora sicura che passeranno, potrebbero salutarci con un messaggio e lo capirei.
La libertà è da sempre la nostra base d’appoggio.
Il figlio mi aiuta a sistemare la tavola. Rassicura la sorella, ma lo dice soprattutto a se stesso. Pazienza se non ce la fanno. Vedrai però che invece sì.
Il marito arriva trafelato. Le sette e mezza.
Vengono? Che ti hanno detto?
Ancora non so.
Mi sorprendo a canticchiare una vecchia canzone di Baglioni. Lampada Osram. Avrà almeno una quarantina d’anni, l’epoca del ti avviso con un sms è di là da venire e la poveraccia dopo mezz’ora capisce che lui le ha dato buca. Ma che bel modo di mettere poesia in un’attesa.
Le otto e dieci.
Eccoli! Eccoli!
Figlia, non travolgerli, lasciali respirare.
Sì, tranquilla, ci possiamo abbracciare e salutare per bene.
C’è un’esitazione, come un’anticamera di pudore prima di recuperare l’abitudine al contatto.
Poi l’affetto prende il sopravvento e parte il fiume di racconti e progetti e indirizzi nuovi da attaccare al frigorifero.
Il tempo va giù che è un piacere insieme al vino bianco.
Peccato, il faut y aller.
Di già?
Restate a cena.
Non possono, figlio, lo sai. C’è chi li aspetta per l’ultima sera.
Ripartono i baci, gli abbracci. Le lacrime le rimando a girato l’angolo.
Quattro anni sono tanti, il viaggio fin là un sogno difficile da realizzare, per noi.
Torneranno. Cambieremo. Inutile fare previsioni.
Ogni partenza ha sempre un arrivo.
Arrivederci, ragazzi. Anzi no, à bientôt.

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