100 e trentatré. Notte brava

Sento il silenzio.
Non è assoluto, qualcosa resta nell’aria, come un respiro, un cinguettio lontano.
Le voci si sono interrotte da un pezzo, ma non saprei dire quando. So che prima c’erano e ora non più.
Sono sdraiata e ho una coperta leggera, ne sento il tepore e la carezza sulle spalle. Meno male perché in maglietta con la finestra spalancata di notte si gela.
Dovrei aprire gli occhi, solo che il cervello non si è ancora deciso a mandar l’impulso alle palpebre. Il buio si è attenuato, ma è un’intuizione, non del tutto un pensiero.
La coscienza è sensoriale, il vero arriva mentendo. C’è un brandello di sogno attaccato al corpo e confonde, distrae, ritarda l’arrivo della cavalleria. Perché lo so che sta arrivando. Riesco a intuirne le sagome. No, comincio pure a vederle.
Quante sono?
Strane divise tutte uguali. Sembrano azzurre, ma qualcuna è scura, forse a quadretti.
Come sono impettite, tirate all’occasione.
Non hanno gambe. Non hanno mani. E anche le spalle finiscono in un centro vuoto a uncino.
Camicie.
Appese allo stipite della porta. Dodici camicie mi osservano.
Vegliano il mio risveglio.
No, non ho stirato tutta la notte, solo un paio d’ore intorno alla mezza.
I figli eccitati per la partenza ce ne hanno messo per rassegnarsi al sonno.
Il marito si appoggia di lato la scorta di viveri in trasgressione serale e trova una nuova serie senza troppi colpi di scena.
Il minicane ha espugnato il cuscino migliore.
A me non resta che accendere il vapore.
Dopo le prime schermaglie il gesto si fa esperto, l’euforia dell’accerchiamento stirato vorrebbe farla finita, ma ho una schiena vintage e calcolo ancora due vittime. Poi spengo tutto. Per questa vita può bastare.
E mi allungo, godendomi lo stretching improvvisato.
Mi allungo stirandomi come un gatto. Credo di aver fatto anche un paio di fusa al divano mentre contemplavo con soddisfazione la mia operazione notturna. Finché me ne sono andata anch’io dall’altra parte del buio, cullata dai dialoghi della tv e dal lieve russare dei miei compagni di postazione.
E poi la storia è un déjà vu. La notte che scorre come un film mentre l’elettrodomestico si spegne da solo. Il tentativo sempre più vano di guadagnare il letto. Il risveglio del madovesono che diventa macheoresono appena mi accorgo che fuori c’è luce.
In che giorno siamo? C’è scuola, lavoro, in che zona operiamo?
Forza, marito, cambiamo orizzonte. Un paio d’ore da gente perbene dovremmo poterle ancora imbrogliare.
Credo non ci sia niente di urgente a parte partire.
Ritiro l’asse di legno, il ferro ormai freddo. Lascio le sentinelle di guardia e guadagno le scale.
Buonanotte. Buongiorno.
E solo buone notizie oggi, per favore.
Che ho già il collo che è tutto un dolore.

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