100 e quaranta. Fine?
Ho cominciato a scrivere il 29 febbraio.
Un giorno che non esiste. Una data fantasma che torna ogni quattro anni per una convenzione di equilibrio nel tempo.
E anch’io da quella sera ho trovato un’abitudine per stare in bilico. Fra la paura di quello che poteva accadere a Casa e le nostre vite stranamente deviate da una pandemia che chi l’avrebbe detto mai.
Il mio diario semiserio e per lo più notturno si è trasformato sul filo dei giorni. Insieme al quotidiano mi sono apparsi luoghi e persone a cui non ho mai smesso di pensare.
Ho scritto per 140 giorni di fila, tranne uno all’inizio perché ho sbagliato la data.
Mi sono addormentata, incavolata, inceppata, ma mai dimenticata.
Ho uno spin-off e più o meno cinquanta lettori. Ma non mi monto di certo la testa nel paragone illustre.
Non conosco i meccanismi dei blog, le letture e le conoscenze, le riconoscenze.
So però che continua a piacermi raccontare storie.
È ciò che so fare, in un modo o nell’altro. Di sicuro a modo mio.
Scrivere mi è comodo, posso agirlo ovunque e mi aiuta a non sentire troppo la mancanza del teatro e dei miei compagni di viaggio.
Il corona è ancora in giro, anche se ci mascheriamo ci riconosce e forse tornerà. Chissà.
Ho iniziato a scrivere per causa sua, ma gliene rendo merito. C’è sempre qualcosa di buono anche nei disastri.
Questo diario di famiglia in trasferta per il momento va in pausa.
Perché anche se abitiamo via, questa sera siamo rientrati a Casa e ci staremo per un po’.
In questi giorni vedremo le persone per cui scrivo, staremo insieme, presenti, vicini e non racconterò di questi momenti. Li vivrò e basta.
E sarà bello.

Spin-off
Arrivo venerdì. Chissà come mai di persona sei logorroica e nei messaggi sei la regina della sintesi, lapidaria come un necrologio. ‘Funzione privata, niente fiori, ma opere di bene’. E finalmente sei arrivata, subito, con la scusa di un caffè. Nel giro di otto minuti mi hai raccontato della vacanza in Normandia, sembravi il cronista che illustra la tappa del giro d’Italia. Su/giù, di qui/di là, gran premio della montagna e traguardo. Stessa velocità per la tappa da garageFrancia a garageItalia, gran tappone della montagna sul Gottardo visto che il traforo era chiuso. Mentre parli noto con piacere che nulla è cambiato, un vestito gitano (e meno male che le più prestigiose case di moda sono italiane e francesi), credo avessi ai piedi le solite ballerine che ovviamente sono state abbandonate all’ingresso e una borsa a tracolla, sia mai che qualcosa t’impedisca di gesticolare. Mentre mi consolo all’idea che nonostante i miei sforzi sarai sempre la stessa, accendi la miccia e spari uno dei tuoi fuochi d’artificio in pieno giorno: ‘Mi sono rotta di fare la tinta mi faccio tutta grigia o bianca!’ Saranno i 1500 km, sarà il sole che non vedi dall’estate scorsa, sarà l’astinenza dall’odore del lievito, ma ti sembra il caso di sparare certe cazzate? Il geometra mi guarda avendo intuito che ho già intenzione di strozzarti con un velo che penzola dalla gonna. Vai sempre troppo in fretta, dalle trecce con le margherite al capello bianco. Alla Grecia alla Francia. FERMATI!! Ora finalmente abbiamo tutta l’estate per fare le cose importanti, respirare, riposare, dissuaderti dall’idea del capello bianco e bruciare il vestito gitano!