XII. Piastrelle in fuga

La velocità è un’altra cosa.
Ma forse ce l’abbiamo quasi fatta. Tra pioggia e peripezie, la logica del piastrellista sta per avere la meglio sugli ostacoli che, si sa, fanno parte del gioco.
È che qui, come al solito, si tende ad esagerare.
Quando Selogic è venuto a vedere il lavoro da fare pioveva. Non ha più smesso.
Qualche tregua giusto per illuderci che anche al nord si può lavorare in esterno e poi giù a scrosci e secchiate.
Lui, stoico, non molla. Arriva, scambia due parole con noi, se passa l’amico capocantiere lo saluta ma non si ferma. Deve finire. Nonostante tutto.
Perché il tutto di questi giorni è tanto.
Una mattina prepara un secchio di colla. Mette due piastrelle. Le altre rimangono nel cartone. Attività sospesa per maltempo. Arrivederci a domani.
Intanto il composto nel secchio secca. Invece di buttarlo, magari lo propongo a un museo d’arte contemporanea: con il titolo giusto secondo me spacca.
Altro giorno, altre gocce. Non tante, va più avanti del solito. Forse.
Selogic non beve caffè, gli piace il succo di mele. Ha tre figli, due ex mogli. A nove anni si installa in Francia con i suoi e ciao ciao Mayotte, isola bella troppo povera per viverci bene. Impara a saldare, ma impara anche il resto, che quando hai bisogno di lavorare meglio saper fare un po’ di tutto. Per questo le piastrelle e più tardi il cartongesso. Metterà da noi anche quello. Per fortuna è lavoro d’interno.
Dice che il giro della ringhiera lo salderà sul posto. Sarà interessante vederlo all’opera. Chissà se anche lui è un folletto del ferro.
Quand’ero piccola c’era un fabbro vicino a casa, sentivo tintinnare i suoi attrezzi quando passavo a piedi. E se ero fortunata potevo ascoltare anche lo sbuffo del fuoco che modellava. Rintanato in bottega, scorgevo il Fulgera dalla finestra, grembiule blu stinto, naso aquilino, espressione concentrata e corrucciata. Un folletto del ferro, appunto.
Per ora Selogic è ancora il mago della piastrella, dai poteri magici un po’ scarichi.
Gli ritirano l’auto martedì, qualcosa pendeva da sotto e l’hanno fermato. Deve fare la revisione, prende appuntamento, così gli ridanno la macchina. Invece di lasciarla al controllo viene a lavorare. Quante probabilità ha che lo fermino ancora in questi giorni?
Ce ne sono di più che piova. Appunto.
Tutte le sere io e il marito copriamo la terrazza con uno spesso telo impermeabile. Perché i nostri 12 metri quadri non prendano freddo e restino in salute.
12 metri quadri. Quanto ci vuole in tempi normali?
Con il tempo di qui dieci giorni. A cui per verità di cronaca vanno tolti il sabato che Selogic passa con i figli e la domenica di riposo.
Mercoledì splende il sole, ma di lui neanche l’ombra. Chissà dov’è. Chiama a mezzogiorno che mangia un boccone e arriva. All’una e mezza. Due ore e alcune piastrelle dopo plic plic plic. La nostra pioggia quotidiana inizia dolce e finisce a scrosci. Anche per oggi c’est fini.
Ho smesso di contare, di guardare il meteo, di preoccuparmi. Selogic lavora bene, con i ritmi suoi, magari un po’ poco coordinati con le nuvole. O forse un po’ troppo.
Et le temps à Mayotte, c’était comment?’.
Lo so, la domanda è banale e pure un po’ fuori luogo, ma non mi viene in mente nient’altro mentre sto qui in ciabatte con l’ombrello in mano a riparare il piastrellista dalla cascata delle Marmore. Sta tentando di posizionare gli ultimi due pezzi del puzzle, lui. Mi sto bagnando di brutto, io.
Merci, madame. C’est bon’.
Buon per noi.
Lo saluto, rientro. Mi cambio.
Domani la fuga. Delle piastrelle.
La mia si vedrà.

futuro presente

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