XV. Annibui
La tecnologia è inquietante.
Per una delle sue tante magie che ho attivato senza coscienza, rivedo una foto di quattro anni fa.
Spiaggia di Dunkerque, io e i figli in compagnia di una oggi diciottenne a cui tanto vorrei assomigliare. Nata libera da genitori liberi, viaggiatrice per indole e ribellione, viene a passare la fine dell’estate con noi, appena trasferiti da Casa.
Ha quasi il triplo degli anni della figlia, che detto così sembra un abisso, ma con i numeri bassi sono come sorelle. Cinque e quattordici fanno tombola. E capriole. E salti. E fotografie colorate di sole, magliette gialle e l’azzurro di un cielo che scopriamo infinito, qui al Nord.
Sono le settimane dell’euforia, del tutto nuovo, dell’andiamo a vedere.
I chilometri sono manciate di passi che separano dalla meraviglia.
Il caldo ci coglie alla sprovvista. La figlia si becca un’insolazione e io una notte bianca ad immergerla ogni due ore nella vasca fredda per abbassarle la febbre. Anni di Grecia senza un colpo di calore e ci capita a queste latitudini…
Guardo ancora gli scatti.
Il figlio è bambino e gioca con l’obbiettivo. Chissà. Potessi dire qualcosa a quel pirata felice, potrei avvertirlo, spiegargli che gli anni bui arrivano e poi se ne vanno. Che diventare grandi è una vera rottura, ma ce la si fa.
Non posso farlo, per fortuna. Un sapere così disegnerebbe solo ombre sul suo sorriso in fiducia.
La libertà di sbagliare è ancora un’ottima soluzione alla vita.
Guardo ancora gli scatti.
Sono proprio io, seduta storta, con le trecce e gli occhi chiusi al sole.
Credo sia stata la mia ultima abbronzatura ufficiale. Non sdraiata, voluta, spalmata, ma arrivata per naturale sana esposizione, come negli anni ateniesi che già a marzo cambiavo pelle.
E poi?
Il marzo degli anni successivi è diventato indaffarato, a tratti piovoso, quest’anno rinchiuso e gli altri mesi pure. La primavera si è fatta un’estate in scivolata verso l’autunno. E l’inverno è sempre in agguato, con il suo freddo cannibale di giorni spensierati.
Il sole continua a stare appeso, ma il mio colore non so. Vira piuttosto al grigio. Tipo gas di scarico. Ha affumicato pure i capelli.
Forse mi sto trasformando in un topo.
O forse serve un giro al mare, così, all’improvviso. In un giorno feriale, senza pensarci, senza programmi.
Prendo figli, marito e minicane e ce ne andiamo a mangiare le moules-frites al vento del nord.
Occhei, è deciso. Domani si fa.
Oggi però devo fare la spesa, andare in discarica, accompagnare i figli a scuola, passare dal meccanico, chiamare lo specialista, mandare la mail all’assicurazione.
E prendere il primo volo per l’isola che non c’è. Magari. Chissà.
Dicono che ogni tanto da queste parti lui passi ancora. Quel Peter là.

io da qui non mi muovo
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