XXII. La coscienza di zero
Ho poca dimestichezza con la matematica.
I numeri li penso a colori e mi piacciono così da soli o a piccoli gruppi. È quando si assembrano e iniziano a rappresentare qualcosa che mi confondo. Non riesco a gestirli. Mi viene paura.
Oggi il figlio ha degli esercizi sui relativi. Apre il libro e sto già sudando. Più o meno.
‘Sono facili, mamma’
Se lo dici tu.
Si parla di temperature, di ascensori e di punteggi calcistici. Siamo sotto di due goal poi vinciamo di tre. Nessun talento, nessuna fortuna. È solo matematica. O forse no.
La materia mi affascina. Ci sono numeri ovunque nella vita. Tutto è misurabile, quantificabile, riducibile. Se posso contare posso controllare. Anche il fuori controllo.
Solo che io ci provo a leggere le statistiche, a capire gli algoritmi, ma per esempio tutta ‘sta storia del corona proprio non la capisco.
E non riesco a spiegartela, figlio. È inutile che guardi ogni giorno quanto casi ci sono in Francia e in Italia. I nonni stanno bene, tranquillo. Aumentano i tamponi, aumentano i casi. Ci arrivo pure io. Fin qui ne t’en fais pas.
Positivo non vuol dire malato e malato non vuol dire morto, ma come sequenza ci siamo. La personale realtà poi è solo questione di probabilità.
‘Mamma, ma perché tutti quei tizi lì sono senza mascherina? In Italia non è più obbligatoria?’
E una manifestazione, figlio. Protestano.
‘Contro il virus?’
Bella domanda. Come faccio a spiegarti che la libertà è una cosa strana, che tanti la usano e la gridano, ma pochi sanno cos’è.
Fa paura, la libertà, quando è troppa. Un po’ come la matematica.
Non puoi addomesticare l’infinito. E allora lo smonti, lo riduci, lo rendi finito e finisci anche tu col credere che hai ragione. Che quei numeri lì sono i soli che esistono.
Così i numeri degli altri diventano uno zero su cui puoi permetterti di sputare senza coscienza.
Scusa, figlio, faccio fatica. Sì, sono un po’ inquieta.
Allora, questa partita? A quanto l’abbiamo vinta?
