XXXV. La scelta del passo
Osho è il nostro nuovo coinquilino. Vive al piano terra dalle nove alle cinque. La notte la passa altrove, poi torna puntuale.
A piedi. Sette chilometri da qui alla città. Ha la patente, la macchina pure. Ma.
‘Ça fait du bien’
In infradito di cuoio, camicia quattro stagioni, il telefono nel taschino lo lascia all’ingresso fino a sera. La tuta imbrattata appesa alla scala è la promessa del suo tornare. A pranzo non mangia, adora il caffè. Sul vassoio ci aggiungo acqua, biscotti, gli ultimi taralli italiani, un po’ di frutta.
Lavora in silenzio, ogni tanto accende il trapano o il compressore. Procede per traguardi e fa una pausa quando ne taglia uno. Sento l’odore di sigaretta che sale dal giardino, anche il marito fa uguale. In effetti si assomigliano un po’. Stessa flemma operativa, stesso modo tranquillo di gestire gli errori senza giudizio.
Arriva sul fatto da altri, interrotto dalla pausa dei mesi incoronati. Si adegua, fa suo un angolo storto, lo raddrizza e lo mette nel bianco.
La stanza si trasforma lenta, ma in una settimana è irriconoscibile. La luce non ha più una direzione, è dappertutto, anche se fuori piove.
L’altro giorno è rimasto sotto l’acqua mezz’ora, sono arrivata tardi e un riparo davanti a casa non c’è. La soluzione è la chiave di scorta del garage.
‘Pas grave, pas nécessaire’, ma per fortuna l’accetta.
Esco e lo saluto. Rientro e lo saluto. I figli fanno lo stesso. Magari dieci volte in una giornata. Un disturbo continuo che non può evitare, noi si è fatti così. Si dice bonjour, Monsieur. À demain. Merci. Come va.
Osho è il suo nome d’arte, però lui lo ignora. Ha uguale la barba, lo sguardo diretto e un j’en sais pas che è stato immediato chiamarlo così.
Stiamo diventando seriali, quanto a soprannomi.
Il nostro lessico familiare in effetti è piuttosto sovraccarico di questi tempi. E si rischia la confusione. Prima ho nominato Babbo Natale e la figlia mi ha chiesto dello smilzo. Che solo chi è di famiglia sa.
Da quando è arrivato Osho però il nostro Circolo Pickwick ha uno slancio nuovo. Si contamina di una saggezza sconosciuta e lontana, accessibile forse perché impolverata.
Oggi cucino un piatto di riso e merluzzo. Glielo appoggio sui sacchi di cemento.
Mi sorride sotto la cuffia di plastica con cui si ripara dalla vernice.
‘Vous êtes comme chez nous les Berbères’
E passa il rullo sul soffitto.
Questa casa diventa sempre più bella.

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