XLII. Nuovi gesti

La figlia entra in bagno e non si sa quando ne uscirà.
Il locale la inghiotte, l’acqua scorre, lei continua da dentro discorsi iniziati l’anno scorso, urlando e ripetendo perché non capiamo. Noi. Poveri sordi mortali che ogni tanto il silenzio magari ci dice qualcosa.
Per fortuna abbiamo un altro point d’eau in casa e le urgenze sono coperte.
Perché, chiamata, lei sta sempre arrivando. Il suo però è un viaggio di uscita molto lungo, tipo ritorno al futuro.
Ogni tanto lascia la porta socchiusa per dimostrare la sua buona fede di ridurre i tempi di attesa. La sbircio.
Si osserva, si lava i denti con cura maniacale, fa le boccacce, si mette la crema, si pettina e la spazzola diventa un microfono. O un megafono.
Il guaio è che buona parte di questi gesti quotidiani sono anche i miei. Solo che lei li amplifica e li rende eterni.
Sono danni che si possono evitare quando gli spettatori sono ancora piccoli. Adesso ormai.
Per fortuna il figlio ha velocità diverse. I denti li lava senza esagerare e ha i capelli corti. Evita code e lamentele.
I suoi gesti specchio sono altri. Slegati dai luoghi di casa e più affini a come gli va.
Sbuffa e sono io quando l’insofferenza mi vince. Fa un mezzo sorriso apparecchiato e io ho lo stesso quando mi ritrovo in un’impasse.
Ne usciremo, tutti e due originali o lui copia migliore.
Il marito no. Lui è un pezzo unico. E anche se con gli anni qualche somiglianza ce la siamo passata, siamo ancora troppo diversi per fotocopiarci. Camminare uguali. Cose così.
Però c’è un gesto nuovo che ci accomuna tutti. Come toglierci le scarpe all’ingresso o accarezzare il minicane a portata di mano.
Abbiamo tecniche e stoccaggi diversi.
Io ne ho in tutte le tasche, la prendo, la metto, la tolgo appena posso, la piego e la ripongo con cura. Anche se devo farlo ventisette volte al giorno. Non la sopporto abbassata sotto al mento o appesa a un orecchio, equilibrista del momento.
Il figlio ne tiene un paio nello zaino.
‘È molle, si è rotta, mi si appannano gli occhiali, puzza, mi stringe’
Poi quando ce l’ha ce l’ha.
La figlia non è obbligata, ma solidale si adegua se siamo in mezzo alla gente. Nel frattempo la accomoda sul gomito.
Il marito le recupera in ufficio. Dice che hanno la scorta accanto al dispenser dell’acqua. Idratazione e protezione è il loro slogan, rubato alle creme solari.
È cambiato il vedersi. Siamo tutt’occhi nascosti a metà. Il sorriso si indovina, l’udito si affina perché il labiale non c’è più.
Chi è sordo come fa? Ho visto le maschere trasparenti, ma si riempiono di nebbia come una finestra in inverno.
Finirà prima o poi.
Ma intanto usiamo un oggetto che era solo d’ospedale o per una spolverata pesante.
La mattina i ragazzi arrivano a scuola in bici, casco e mascherina.
Oggi due ci superano. Lei biondina rimane indietro e si ferma. Lui alto, tutto bardato, si accorge e le torna di fianco.
Laisse-moi faire
Gliela prende da sotto il mento e gliela accomoda sul viso con un atto d’amore lento, come una moglie che aggiusta la cravatta al marito sulla porta di casa.
Lei lo lascia fare, affida il suo viso alle mani di lui. Poi si guardano e ridono.
Dura qualche secondo. È una fotografia.
I nuovi gesti. La vecchia allegria.

scalzi alla meta

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