LXXI. Ci sono
Ci sono due operai che danzano in cielo.
Passo con il minicane dopo aver salutato il figlio e metto insieme La Scolastica e La Vecchia, giusto per non abusare di troppa libertà di attestazioni.
Il cantiere accanto al parco continua. Gli scheletri in legno dei tetti a schiera si stanno vestendo di tegole grigie. C’è una musica di festa, strano sentire una radio alta da queste parti. È la loro. Mi cambia l’umore e mi solleva lo sguardo. Eccoli lassù, due men in black ballerini che scalano le travi gialle come fossero i gradini di casa loro. Non hanno maschere, né caschi o altre protezioni, sono liberi. Sono abili gatti pronti a balzare via quando le nuvole girano male.
Ci sono due ragazzi che danzano in strada.
Camminano un lento, un valzer, un tango, un rock melodico e reinventano il jazz. Sono tutta la musica di cui c’è bisogno per far respirare il mondo.
Li saluto dalla macchina mentre recupero la figlia. Li incrocio spesso, l’uno accanto all’altra, non si tengono per mano, non serve. Ora hanno anche le mascherine, ma che importa.
Si amano. Con quel calore che se ne infischia dei gesti barriera.
Lui lo conosco, è un ragazzo gentile venuto da Casa. Di lei nata qui vorrei sentire la voce, chissà se sa di velluto come la sua pelle.
Lui biondo del sud. Lei nera del nord. Si sono scambiati i colori, hanno sbaragliato la geografia e i confini. Chissà se si scambiano anche i baci discreti dei folletti prima di salutarsi.
Ci sono due foglie appese al ramo alto del faggio. Le vedo dalla poltrona mentre bevo un caffè.
Si muovono appena quando c’è vento. Stanno vicine, fanno squadra. Hanno cambiato colore, sembrano fragili.
Ma è evidente che non hanno intenzione di cadere.
