LXXX. Tre cuori

La vicina è rientrata un giorno prima.
Ho io il suo pacchetto arrivato ieri.
Suona poco prima di cena. Stiamo finendo i compiti, ma Jules Verne può attendere. Sali, resta due minuti.
La maschera a fiorellini non protegge dalla stanchezza, gli occhi lo sanno.
Come va? Tutto bene? Tuo papà è ancora a letto?
Noi, grazie, a Casa ça va. Nessun positivo in famiglia. Per ora siamo dei miracolati.
Lei dedica sempre metà settimana ai genitori che vivono soli in un appartamento di città, chiedendosi cosa potrà mai dire se la fermassero per strada.
Il diritto all’amore non è contemplato nelle tre grazie dell’autocertificazione. Ma tant’è.
‘Mamma, guarda che bello!’ la figlia ha già aperto la busta rigonfia di cartoline colorate e adesivi. ‘C’est de la part de ma maman’ precisa la responsabile dei tulipani. La sua mamma, un’anziana signora che non conosciamo, è solita raccogliere materiale prezioso per i nostri atelier e mandarci brevi manu missive ricolme di tempo dedicato.
Sono a un’ora da qui, ma chissà se andremo mai a trovarli questi due signori gentili diventati vicini ad honorem grazie alla congiunta. Che sta qui in piedi, abbracciata al suo pacchetto e a intervalli lo posa per terra.
Fermati a mangiare, vorrei proporre. Ma so che ha voglia di silenzio. Quando torna ha bisogno di un giorno di buio, almeno.
Buio e silenzio. In cui recupera lo spirito da combattente che le occorre per ripartire. E che non vendono. Da nessuna parte.
La ragazza cammina e si ferma. Segue il ritmo del giubbetto blu che le trotterella al fianco. Troppo piccolo per mascherarsi, mi guarda in una smorfia e mi mostra un salice con il dito. Poi tende le braccia per farsi portare dalla mamma nell’ultimo tratto prima di arrivare al cancello di scuola. Il gesto la rallenta e mi avvicino al suo cappotto cammello. È sempre elegante, curata, mai eccessiva. Mi sorride con gli occhi, mi chiede come va. La famiglia, in Italia, noi che siamo qua. Riassumo, rassicuro, ringrazio. Le domando lo stesso. La vedo stanca. Tutto bene?
No, veramente no. Si è presa il corona, fatica a rimettersi. Con tre figli non è facile. Si allontana verso l’ingresso della materna, io mi fermo, la saluto. Chissà se ha qualcuno che l’aiuta. Vedo il marito ogni tanto. Sono giovani. Non si pensa mai che possano essere soli.
Ti chiamo che sono ancora per strada, entro senza accorgermene, mi siedo in poltrona senza togliermi le scarpe, il minicane mi si accoccola addosso. Te lo presto da accarezzare se vuoi. Lo so, lo so, anche tu hai i tuoi gatti. Fortunate che siamo.
Mi racconti, ti ascolto. Assurdo, ingiusto, triste. Il telefono è l’unico mezzo per avere notizie dall’ospedale. Se non chiamano va tutto bene. Ma che razza di speranza è la mancanza?
‘Andrà tutto bene’
No, chissenefrega del futuro.
‘Che vada tutto bene’
No, non mi accontento del congiuntivo.
Io voglio il presente. Indicativo.
‘Va tutto bene’
Punto.

disequilibri




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