XCI. I giorni buoni
Quando cammini in montagna ci vuole il passo giusto. Se non sei abituato rischi di accelerare troppo, preso dall’euforia dell’ascesa, o di dosare male l’energia, che la vetta spaventa.
Se hai un buon maestro però impari in fretta. Il respiro e il sentiero diventano compagni e ti portano insieme.
Qui da noi negli ultimi tempi si marciava senza guida, con il ritmo sincopato dell’emergenza e della disperazione, a volte.
Piano piano per la via stiamo imparando. Dalle risposte, dai silenzi, dai piccoli successi. Il fiato corto a volte resta, ci sono attimi che diventano secoli incantati su disturbi ossessivi, ma la strada comincia a farsi amica.
E ci sono giorni buoni.
Oggi è uno.
Sono le otto. Buio pesto.
C’è umido fuori, sembra di stare in una spugna gelida. Andare a scuola a piedi richiede coraggio, ma scioglie le tensioni dell’apertura di giornata.
‘Ciao, mamma, ci vediamo’ e corre dentro senza voltarsi tra i riflessi dell’albero di Natale già montato nell’atrio del collège.
A mezzogiorno esce di nuovo correndo.
È il primo, sorride.
Le ore crollano in una stanchezza buona, mangiamo, chiacchieriamo del più e del meno male che è andata. Perché siamo sempre comunque un po’ tesi, sempre all’erta. In guerra non passa la paura che una bomba esploda.
Invece fila tutto liscio: il nuovo ritorno, i compiti, l’attesa della cena. Può ancora ribaltarsi tutto, ma intanto la corsa alla sera è quasi finita.
Mi guardo indietro e vedo il sentiero tracciato. La cima è lontana, c’è neve, freddo, sassi e dirupi. Ma non siamo da soli. Basta uno sguardo, due parole, una telefonata.
Guardo le nuvole che si inseguono giocando a diventare nebbia. Ingannano scaltre, fanno credere al cielo prima del tempo.
Ma il sollievo è un’ottimo ricostituente naturale.
