XCV. Night light
No, non soffro d’insonnia.
Non ho neanche più grandi pensieri da rifare il mondo. Che sto diventando semplice, o almeno sono in aspirazione. Sarà l’età, sarà la necessità. Tolgo, alleggerisco, lascio andare. E dormo. Di un sonno profondo e di gusto.
Ma poco. Perché tendo a rimandare. La notte mi piace così tanto da sveglia.
Parte lenta sul divano, dopo che i figli hanno mollato la presa, il marito preso i biscotti e il minicane occupato il posto d’onore. Leggo notizie, sbircio persone, ci intrappoliamo su una serie o in un film scelto con cura. Sonnecchio, sgranocchio, scribacchio.
Poi ci spostiamo di sopra, lui già in fase rem, io prendo un libro. E spesso resto fissa sulla stessa pagina, mi incanto nel silenzio.
Stanotte c’è nebbia. Congelata sui parabrezza. Anche la luce è ferma, lattea, entra obliqua dalla finestra.
Quella della cucina ho deciso di spegnerla, alla fine. Prima però sono andata a guardarla da fuori: sembrava una festa, con la cornice delle lampadine a led.
Un anticipo di Natale.
La caldaia è partita, i caloriferi fanno il loro tac tac di riscaldamento. Osho mi ha detto che dovrei far uscire l’aria. Ma mi rassicura questo annuncio metallico del caldo che arriva.
E come se mi avesse sentito i pensieri, il minicane fa ticchettare le zampe e si intrufola sottocoperta. Mi si acciambella di fianco. Mi richiama al riposo.
Hai ragione, Morfeo, adesso arrivo. Ancora un minuto però che respiro questa pace.
Ne faccio scorta, me la imparo a memoria, ci imbottisco il cuore.
Che ne ha tanto bisogno.
