XCVI. Il carton animato

Io e il marito abbiamo visto troppi film.
Sarà per questo che ultimamente ci addormentiamo davanti alle serie tv. Cerchiamo di disintossicarci. Ma è troppo tardi. Ci siamo formati al ‘come vivrai, Johnny? Giorno per giorno’ e ‘la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita’.
Ecco appunto.
Oggi ci è capitato.
Il figlio lo desidera da almeno due anni. Forse di più. Lo cerca in ogni bar o ristorante dove andiamo. Andavamo.
Ci ha giocato nel garage degli amici di San Maffeo. Ne parla ogni volta che si avvicina il suo compleanno o il Natale.
Ecco appunto.
Le mance dei nonni giacciono intonse, le altre richieste di cadeaux sono sempre modeste: un libro, una macchinina. Cose così.
Il tredicenne in realtà aspetta IL REGALO. Quello tutto maiuscolo che ti fa credere ancora a Babbo Natale. Perché solo lui ormai può.
Questo pomeriggio più che altro avremmo avuto bisogno del nostro Babbonatale e anche dello Smilzo suo socio, perché i 72 chili di peso sono stati una prova fisica non indifferente.
Soprattutto per la Quboblu. Sia ringraziata.
Questi i fatti.
Ho un’ora tra l’entrata e l’uscita del figlio da scuola, compilo La Vecchia per andare a caccia di verdura. Entro nel supermercato più vicino, quasi deserto data l’ora e capisco subito che non è aria di fresco. Ripiego sui surgelati e faccio scorta di porri, spinaci, fagiolini e altri fratelli verdi.
Mi serve anche il mollettone per stirare e mi dirigo nel negozio di fronte. È una caverna di Ali Babà, non ci sono gli alimentari, ma tutto il resto vendibile sì.
Varco la soglia decisa a colmare il mio vuoto casalingo.
Lui è lì.
Tra un gazebo pieno di luci e un albero di Natale parlante. Lo hanno messo vicino al biliardo. È bellissimo. Faccio una foto mostrando il cartellino del prezzo e la invio al marito in teleriunione perenne. Tanto non risponde. Rimandiamo di certo. Mi dico. Ma caspita, è pure un affare, costa molto meno del budget previsto. Dev’essere l’ultimo. E già. Ma infatti. E poi come si fa a portarselo via, così tutto montato?
Il y en a encore un, madame’ e scopro che lo vendono in scatola. Ovvio, serve un carton per il trasporto. Sono lì a ragionare sulle modalità di spedizione navale dalla Cina e arriva il messaggio.
‘Prendilo. Se riesci’
E come no? Figurati se non ci riesco.
Il commesso chiama il collega, pago in cassa con il codice del prodotto e vado al ritiro merci per il carico.
Quboblu, aiutami tu.
I due mi aspettano davanti al cancello. Apro il portabagagli, butto giù il sedile. Anni di esperienza Ikea mi fanno muovere agile.
Solo che, madame, c’est un grand carton.
Grazie, ragazzi. C’est bon.
Non, attendez. Il portabagagli non si chiude.
Reculez le siège devant, madame. Non traduco il verbo in italiano, ma lo faccio.
Sbam.
Au revoir, madame.
Excusez-moi, mais je ne peux pas…
Sono spariti.
Guardo lo spazio di guida: neanche il Puffo Pilota potrebbe entrarci. Ci provo lo stesso. Rischio l’incastro.
Il marito lo so, rischia l’infarto.
Lo chiamo. Deve correre a recuperare il figlio altrimenti si preoccupa, mollarlo a casa altrimenti addio sorpresa, e venire a salvarmi. Altrimenti.
Aspetto. I passanti son troppo discreti e francesi per interessarsi a me. Becco un paio di anziani che sbirciano da sopra la mascherina. Ostentano indifferenza, li vedo però che si stanno facendo domande. Le nuove targhe almeno scongiurano il pregiudizio dell’italiana pasticciona. E siamo vicini allo zero, i surgelati non soffrono.
Ma ci vuole tutta la positività del supereroe in Yrossa per riuscire nell’impresa.
Io taccio e obbedisco.
‘Dobbiamo metterlo di traverso, spingi indietro, mantieni, per favore, ce la fai? Tira ancora un po’, fai un nodo. Ti vengo dietro. Vai piano’.
E così partiamo, il portabagagli semiaperto ma legato al gancio di sicurezza, il carton in diagonale sopra il poggiatesta di destra che forsesièrottomapazienza e la mascherina fradicia sul cruscotto.
I mille e cento metri a passo d’uomo creano la coda delle sette di sera, per fortuna il semaforo è verde, ma la salita sul ponte mi sembra l’Everest. Sul rettilineo davanti a casa lo Schumacher dei maleducati supera e suona e mi fa gestacci nello specchietto. Sono così felice che gli faccio ciao ciao con la mano.
Siamo arrivati. Il figlio si affaccia.
Invento un mobile non previsto. Ci crede. Rimette giù il minicane e chiude la finestra.
Scarico e trasporto in garage sono quasi semplici. Quasi.
Provvidenziale è un carrellino costruito per uno spettacolo e che abbiamo appena ritrovato nella capanna. Regge tutti i chili. Solo una ruota cede in dirittura d’arrivo, ma le altre tre tagliano il traguardo e depositiamo il carton accanto ai sacchi di cemento.
Il marito ha il telefono rovente. Gli preparo un caffè mentre fuma via il fumetto con lampi e fulmini e rientra nel bunker.
Io copro con il nastro adesivo le scritte che rivelano il contenuto dello scatolone, il lato con la fotografia è in contro parete.
Babbonatale sarebbe orgoglioso di noi.

e mo, dove lo metto? (fotografia di Roberto Raschellà)


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