XCIX. Del più e del meno
Mai stata più felice di finire in negativo.
Io, ottimista indefessa, anche quando l’eco delle circostanze sottolinea la stupidità dell’insistere.
Io, coriacea del positivo, anche se non è sempre così cool. Soprattutto di questi tempi.
Ma ci sono giorni in cui le più tenaci convinzioni vacillano, si ribaltano. Per fortuna.
Siamo davanti a una porta circondati da molti garage.
È l’alba di un primo pomeriggio nebbioso, fra un paio d’ore sarà buio. Il rumore secco della ghiaia torturata dai miei anfibi nervosi bilancia l’umidità dell’aria e toglie l’ovatta al silenzio.
Io e il marito aspettiamo il nostro turno.
La signora appena uscita ha detto che ci chiamano loro. C’è pure scritto sul foglio appeso sopra la maniglia.
Aspettiamo. Siamo solo noi due, se ci fosse la fila si potrebbe pensare a una distribuzione di pasti caldi durante la guerra. Invece qui si gira un film di sopravvivenza metropolitana.
In fondo al cortile un tizio abbassa la saracinesca e ci guarda. Sa.
Che siamo rei confessi, colpevoli di malesseri diffusi. Ammettiamo la nostra colpa e ci sottoponiamo al verdetto.
In realtà io accompagno e mi accodo.
È il marito finito ko stamattina. Mal di testa, dolori dappertutto, impossibilità a gestire la peristalsi.
Ça y est.
Affido alla scuola i familiari sotto i diciotto e preparo una tisana inutile. Dovrei finire di montare lo spettacolo per domani, ma ci sono altre priorità.
Faccio almeno in tempo a raccontare un po’ di Medea?
Dorme. Approfitto.
Un ragazzo gentile mi fa entrare e mi spiega come funziona il collegamento. Infatti. Invece di spegnere il microfono riaggancio. Ribusso. Riapre. Se non fosse tutto virtuale lo abbraccerei.
Come se mi avesse dato la mano per attraversare sulle strisce.
Mi sono imbucata nella DAD di una classe di liceali, raccomandata dalla loro prof in virtù del nostro patto di sangue fatto ai tempi dell’università.
Bello. Parlo di una maga appassionata e assassina e dimentico preoccupazioni e malattie. Il mio tempo però scade in fretta, di sopra i passi del malato mi chiamano ai doveri coniugali.
Ci rivedremo, ragazzi. Spero.
Lo assisto. Lo copro. Chiamo il medico. Segreteria. Vado sul sito e prendo il primo appuntamento disponibile. Fra quattro giorni in presenza, in téléconsultation era peggio. Poi magari gli scrivo una mail.
Ma intanto l’urgenza chiama. Il marito deve sapere. E io pure, che domani mica posso andare a impestare una scuola, au cas où.
Recupero i figli, li sfamo, li riporto. Mi fermo a chiedere come funziona per il test del corona.
E finiamo qui. Nel retrobottega della farmacia ad aspettare lo spacciator cortese che ci introduca nel magico mondo dei tamponi.
Esce un astronauta in tuta verde e doppia mascherina. Dalla voce dovrebbe essere una donna giovane. Ci fa accomodare in uno sgabuzzino dipinto in verde acido. Due sedie, tanto plexiglass, bidoncini e provette. Prende la carte vitale, compila il registro. Un vero esame in piena regola.
Il marito malato affronta stoico il supplizio.
Ora tocca a me. Chi? Moi? Oui, vous. Quoi?
Io…me ne andrei…guardi ci avrei ripensato…non è che magari mi interroga in matematica? Tutto piuttosto che farmi misurare la narice. Non sarà mica un cotton fioc quello. È geneticamente modificato. Sono contraria. E anche alla sperimentazione animale e a ogni forma di accanimento. E poi ho la pressione bassa. Svengo.
Il malato grugnisce. Sto facendo perdere tempo a Startrek.
Facciamolo e sia finita.
Sopravvivo.
Riaccompagno a casa il marito. Bevo un bicchier d’acqua e torno in farmacia per i risultati.
Entro dalla porta principale, aspetto il mio turno. Non c’è ghiaia per i miei anfibi. Ma quanto ci vuole per scegliere uno spazzolino? Prenda quello rosa, madame, con la testina in argento placcata oro. Dai, s’il vous plaît!
La mascherina è fradicia, tra un po’ comincerò a gocciolare saliva e sudore. Potrei diventare pericolosa.
Scontrino. Evviva. Au revoir.
C’est moi! C’est moi! Alzo pure la mano.
Votre nom, madame?
Mi porge un pizzino piegato, degno degli appunti della figlia.
Lo apro.
Non so cosa ho detto e in che lingua.
Ma si girano tutti.
Accenno un inchino. Saluto con la mano. Non resto per gli applausi.
Mai stata così felice di finire in negativo.

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