CVI. Chi ama brucia
È un tranquillo inizio d’anno.
Sveglia pigra, figli molesti quel giusto per non perdere l’abitudine e minicane festante che per lui basta una carezza. Beati i semplici.
Ci sta anche una passeggiata per respirare il freddo pulito di una rara giornata di sole. A Casa c’è di nuovo neve, ma non posso continuare a sperare in un bianco risveglio. Da queste parti il centimetro caduto sarebbe già un evento. Pazienza. Camminiamo e poi torniamo.
Tra uno scambio a calcetto e una rimostranza della figlia, le ore volano pigre e la merenda è un buon diversivo prima di cena. In famiglia è importante rispettare le tappe nutritive, anche se vorrei far voto di astinenza dai fornelli per un paio di giorni. Invece. Cioccolata per tutti e vive la gourmandise! Ho ancora una confezione italiana, basterà per oggi e un altro fortunato giorno di coccole. Il muso della figlia cela un sorriso goloso, il figlio fa una pausa e si siede armato di biscotti. Il marito verifica gli ingredienti per la pizza della sera.
Ed è qui che succede.
Nel tranquillo tran tran vedo una goccia sul piano di cottura.
Ho riempito le tazze, spostato il bollitore per una tisana d’appoggio.
Lei è lì. Risplende solitaria. Una lacrima d’acqua appena fuori fuoco.
Senza pensiero ci passo la mano per toglierla, come a levar d’istinto un bruscolino nell’occhio, un capello sulla giacca. Solo che il palmo attraversa la zona rossa, diventata scura ma non ancora raffreddata e lì si ferma quel tanto che basta per cambiare il corso della storia breve.
Vedo i fuochi d’artificio.
Brucia brucia brucia.
Mai stata resistente al dolore, svengo per un esame del sangue – infatti non ne faccio mai – e se capita chiedo la farfallina, quella delle flebo, dei bambini. Ho un’amica che lava il tappeto del bagno se sa che vado a trovarla, dopo che l’ho usato come cuscino in ripetute occasioni di malore improvviso.
Godo di salute ottima, ma sono una fifona.
Oggi però è il giorno del riscatto.
Brucia brucia brucia.
E io resisto. Stavolta. In piedi.
Rubinetto, acqua gelata.
Cerco del ghiaccio nel congelatore. Il sacchetto del gel l’ho appena buttato perché era bucato. Le mattonelle le ho tolte per far posto alla scorta alimentare festiva. E te pareva.
Afferro il pacchetto delle cipolle a rondelle. Si incastrano nell’incavo e alleviano gli spilli infilzati a fondo pelle.
Mentre mi trasformo in una bambola vudù, il figlio afferma che mi è andata bene, meglio che cadere dalle scale. Già fatto, in effetti, ha ragione.
La figlia sta finendo il progetto merenda e resta distratta.
Il marito prende le chiavi e parte a scovare una farmacia e una pomata decente, dopo aver rovistato invano tra l’arnica forte e il gel hydroalcoolique.
La mano ribolle nonostante le cipolle. Riprovo con l’acqua, la lascio scorrere, comprimo, friziono, se funziona non me ne accorgo.
Brucia brucia brucia.
Rientra il consorte. Si consiglia uno spesso strato. Spremo mezzo tubetto e metto una garza. La crema deborda, osservo il mio bignè brûlé: poteva andar peggio, poteva gonfiare di più. E poi è la destra. Io sono mancina.
‘Tutti pizza allora?’
Grazie, marito.
Per me tonno e cipolle. Tanto sono già scongelate.
