CX. Second life
Amo l’usato. Il già portato. Il riciclato. Che detto così sa di spazzatura riconvertita, invece.
Amo indossare capi di altri. Se li conosco e ne so l’affetto ancora di più. Perché gli oggetti hanno una storia e i vestiti parlano di noi.
Ho un maglione di cachemire che ha quasi la mia età. Lo so per certo perché viene da un unico viaggio che mio papà fece in Scozia. Lo portò in regalo alla mamma. Da anni ormai lo porto io.
C’è una giacca nera di lana più recente. L’ho subito capito che ci saremmo piaciute. Morbida, ampia, sembra una nuvola intrecciata. È rimasta a Casa in uno dei ritorni. Ma è in un armadio al sicuro. La ritroverò presto.
E poi recupero storie tessili che non conosco. Qui è facile trovarle. I Francesi vendono per abitudine qualsiasi cosa. N’importe quoi et n’importe comment.
Quando giravo per braderie mi sentivo tanto Ali Babà. Il corona ha tolto anche questi tesori domenicali, ma per fortuna Emmaus resiste e con lui qualche negozio di genere.
Con un paio di pantaloni indiani ho raccontato di un bambino che non riesce a dormire. L’anno scorso a scuola. La casacca verde con il cappuccio è stata perfetta per quest’anno. In febbraio riprenderò una storia di neve con un vestito bianco che chissà che meraviglie ha visto. È incredibile e mi calza a pennello.
Scovo, trovo, provo e rinnovo.
Non solo per scopi teatrali. Con buona pace del mio spin-off che ha appena finito di rimproverarmi i fiori di pezza e credo confidasse nei miei anta per un giro di boa più sobrio e conforme. Invece. Pure nel nuovo non sono disciplinata. Non lo sono mai stata.
Con gli anni il mio guardaroba ha assunto un aspetto chiassoso ed esilarante. Lo apro.
I pantaloni larghi piegati sopra quelli scozzesi mi portano al profumo d’incenso di un seminterrato ateniese. C’è il sole nella via accanto a Monastiraki, i turisti alzano gli occhi al Partenone. Io chiacchiero con la ragazza di questo negozio a colori, ha un piercing al sopracciglio sinistro, fuma e sorride.
Incontro lo scamiciato anni sessanta in un altro mercato. È un mercoledì d’inverno, i figli all’asilo, cammino fra le bancarelle con l’amica infermiera che cerca una spoletta azzurra per finire una borsa. Cuce e cura. Lo fa anche ora.
Mi cade un cappello in feltro. Me lo ha lasciato chi è partito per Tahiti. Laggiù la lana non serve. Lo raccolgo, stamattina me lo metto.
Indosso i ricordi e la giornata si veste di nuovo. Perché anche se c’è sempre un prima e un dopo, è nell’oggi che trovo uno scopo.

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