CXIII. Trame locali
Finalmente è arrivato. Il mio tessuto stampato a giornale.
Mi sono dovuta rassegnare e ordinarlo in scioponlain, perché trovarlo, toccarlo e comprarlo dal vivo non mi è stato possibile.
Eppure ci ho provato. Ho chiesto in giro.
Chi cuce però è in via d’estinzione. E il raro esemplare che abita qui a sinistra lato strada è troppo impegnata nel via vai di cura genitori per poterla disturbare.
Ho fatto un’accurata ricerca nell’illustre ed esteso comune di residenza: negozi del genere vendolepezze non sono d’attualità. Credo che l’ultimo magasin de tissus mai aperto abbia chiuso subito. Si viaggia a haute couture e sarte a domicilio. Il fai da te è bandito o sopravvive in nicchie clandestine difficili da intercettare.
Pazienza. Mi arrangio.
La città è vicina, ma il tempo per andarci apposta è troppo tirato in settimana, tra vita da autista scolastica e cuoca a tempo pieno.
Allora approfitto del gruppo del sabato che porta me e il figlio a una ventina di minuti da casa. L’oracolo portatile interrogato ha dato un verdetto favorevole: in questo centro ce ne sono tre. Addirittura.
Dev’essere l’illustre passato tessile che resiste in qualche nostalgico.
Tant mieux.
Approfondisco la ricerca e ne scarto due.
Il terzo è lui. Tissus Papi, come uno di famiglia, depuis 1981, che aver quarant’anni ormai è un marchio di fabbrica.
Mollo il figlio, faccio la spesa, recupero il figlio e ci andiamo. Che da sola anche no.
La nebbia è fitta, le vie strette e malmesse. Una ghirlanda di Natale dimenticata illumina un gatto fermo sul marciapiede. Il nostro passaggio di Quboblu non lo disturba. Trovo parcheggio in un minipiazzale con due alberi e un solo spazio libero. Il nostro mezzo di trasporto è intonato con l’ambiente, l’auto accanto ha l’aspetto di una che riposi in pace ormai da decenni. Secondo la mappa il negozio è a poche centinaia di metri. Ci vuole fede, anche nel buio deserto.
Passano due ombre rapide.
No, dai, i Dissennatori non esistono…vero?
Ci siamo quasi. Dovrebbe essere qui a destra.
Tu vedi qualcosa?
‘Mamma, ho fame’.
E meno male, figlio, che tutto quello che mangi in questo periodo si vede. Stai diventando pas mal come bodyguard. Non ti lagnare, però, che siamo arrivati.
Come non c’è niente? L’indirizzo è giusto. Dobbiamo avvicinarci, con ‘sta nebbia.
E infatti. Che ti dicevo?
L’insegna è piccola, in azzurro sbiadito, da lontano mica si vede. E il portone è mezzo chiuso. Sarà fermé? On a tardé?
Tutto è immobile. Sospeso. Aspetto. In apnea.
Poi dall’angolo arriva una tizia velata che spinge un passeggino e ci batte sull’entrata. Mi aggiusto la mascherina e la seguo.
Sono ad Atene. La stessa calca, lo stesso chiasso, gli stessi colori. Rotoli e rotoli e rotoli di pezze altissime, sgargianti, impolverate, accatastate in un ordine da corridoio. Lunghissimo. In fondo c’è il locale, inghiottito dalle stoffe e risputato a brandelli di spazio. Ovunque gente che tocca, che chiede, che urla. Resto sulla soglia ipnotizzata.
C’è una piazza piena di negozi così nel centro della capitale greca. Ci ho passato ore ad osservare tessuti e persone. Ho ancora resti di stoffe e parole che girano per casa.
‘Madame, s’il vous plaît’
Il francese mi riporta alla giusta latitudine. È il proprietario. Sembra che siamo in troppi.
‘Vous comprenez, le protocole’
Tranquillo, capisco. Ma per caso avrebbe un tessuto stampato quotidiano?
Mi guarda, forse non ha capito. Con ‘sta maschera è difficile articolare. Ripeto. Dico che l’ho visto sul loro sito.
Mi guarda ancora. Muto. Poi si illumina come il bradipo di Zootropolis.
‘Désolé, madame, ça on ne le vend pas ici. Il faut l’acheter sur notre site’
Ecco. Appunto.

Spin-off
Ma che ci devi fare con una stoffa del genere?!? Ti è concesso un abito per una bambola, a patto che non sia la Barbie, troppo stile quella! Beh, pare che neppure Pigotta abbia acconsentito a una mise tanto discutibile, dice che preferisce gli abiti dell’Unicef…fai tu!! Oppure potresti foderare la cuccia del cane…ma, povera bestia, cosa ti ha fatto?! Rimangono poche opzioni e quasi tutte mi fanno rabbrividire, ma quella che mi procura più angoscia è che tu lo voglia indossare… Va bene il vintage, va bene la moda che torna, ma bisogna essere onesti, ci sono delle cose brutte che è bene che rimangano estinte! Le spallotte, i maglioni gialli con le palle marroni, le scarpe con il tacco a forma di cavatappi, le pellicce fucsia, gli scaldamuscoli. Ci sarebbe anche il tuo tessuto stampato ‘La Provincia’ ma in questo periodo in cui vale tutto qualcuno obietterebbe con quelle menate sulla libertà di espressione. In ogni caso facciamo ordine, oltre agli utilizzi consentiti già indicato precedentemente, ti concedo di farci al massimo una gonna, evita assolutamente un pantalone, una giacca… o brrrrrrr un cappottino!!!! Nella sfortunata ipotesi che tu riesca a trovarlo, e nella raccapricciante idea che tu produca una gonna, la suddetta dovrà essere indossata con abbinato solo del nero! No, bella, niente punta di colore, niente decorazioni floreali, niente ‘un tocco di me’, niente personalizzazioni per esprimere chi sei, al limite scrivilo in una pagina della gonna, un articolo piccolo dopo il meteo.
Sigh.
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Già…gli inconvenienti del periodo pieno di limitazioni… ;-*
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Sì, ma pensavo anche al fatto che il cucito artigianale, oggi, sopravvive quasi solo grazie ai cinesi.
Non che io sappia cucire, al di fuori di qualche bottone e qualche piccola riparazione, però è un peccato.
Le mercerie sembrano in via d’estinzione.
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Qui nel nord francese confesso di non conoscere troppo il settore. A Casa invece ci sono ancora diversi posti dove posso andare a scovare tutto il necessario per i miei ‘pasticci’ sartoriali, mercerie e affini. Sarà la zona, sarà fortuna. Speriamo continuino a (r)esistere. Buona domenica, cara! ❤
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