Mi sveglio in quest’ora sospesa e sorpresa non ho più sonno.
Il dormire del marito è leggero, il minicane sogna arrotolato accanto. Le altre stanze sono silenziose.
Dalla strada nessun rumore. Apro la finestra.
La notte ha il respiro lieve della neve che scende sottile, quasi invisibile sotto al lampione. Sono fiocchi minuti che si posano sull’asfalto e ne cambiano il colore con uno strato sottile. Tutto s’incanta nel sottozero. È come se il mondo fosse stato messo in un gigantesco congelatore. E nonostante il gelo si fosse messo a danzare.
Li ho già visti questi passi felici.
In chiesa ieri mattina. Un biondino in pantaloni rossi si piazza sotto all’altare e sulle punte tiene il tempo del canto. Gira, avanza, alza le braccia. Quando la musica smette lui fa un’ultima piroetta al rallentatore, poi si posa, asincrono. Si siede e si allunga sui gradini di marmo appoggiando il gomito dietro. Ha tre anni e la tranquillità del capo nel suo ufficio.
Tutto sotto controllo.
Altro canto. Si alza. Altra danza. Mi incanta.
Come questa nevicata inaspettata e fragile. In un colpo di pioggia potrebbe sparire. Ringrazio il freddo che me la tiene.
E ringrazio i genitori del piccolo che lo lasciano libero. Di celebrare la sacralità del movimento e di permettere al momento di durare.
Alla fine del film Frozen si alza dal divano e si libera. I passi sono sciolti, i capelli anche.
Era tanto che non la vedevo così. La guardiamo tutti, ma lei non ha pubblico. Coreografa di se stessa si muove senza preavviso e disegna uno stato di grazia.
L’era glaciale non è finita, né qui né fuori.
Nell’anno non ancora guarito continuiamo a ballare tra virus, varianti e vaccini e aspettiamo tutti una musica incredibile.
Come questa nevicata.

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