CXXXV. Colleghi

Sto pranzando in quella che oggi è la sala prove.
In altri momenti può trasformarsi in sala riunioni, sala pasti, sala e basta.
Gli attori hanno un’ora di pausa. Anch’io. In teoria. Ma quando ho il mio giorno di fuga per la libertà sarò mica matta a interrompere anche solo per sessanta minuti. Me lo gusto fino in fondo. E dato che il teatro è occupato, mi prendo lo spazio tra un tavolo piegato e l’altro pieno di tazzine da caffè e continuo a pensare allo spettacolo. Parla d’amore, di attesa, di seconde possibilità. Praticamente un concentrato di ‘sto periodo che ormai ha raggiunto una cronicità imbarazzante. I figli e il marito sono nelle sapienti mani di Bracciodiferro e Oliva Oil, la cui partenza sta spuntando all’orizzonte. Per questo ne approfitto. E dimentico. Che ore sono, che cosa c’è in frigorifero, se i letti sono rifatti, se la lavatrice è partita.
Mastico l’ultimo boccone di mela e ascolto un brano di Sting, vintage e intramontabile, un classico. Come la pièce che stiamo mettendo in scena.
A un tratto stumf. Un tonfo. Alzo lo sguardo dal quaderno degli appunti e lo vedo. Fuori dalla vetrata, sul verde dell’erba tremolante sta un corvo. È andato a sbattere contro il vetro. È stordito, ma si regge sulle zampe. Muove gli occhi a scatti e con il becco tocca piano la trasparenza che lo ha fermato.
Lo guardo. Mi guarda. Lo guardo.
Due saltelli ed è uscito dal mio campo visivo. La luce cambia un attimo nel suo battito d’ali, ha preso il volo. Ritorno al mio scrivere disordinato, a impulsi ritmati dalle note, a scatti divertiti. Mi vien voglia di annotare del corvo, ma lo dimentico in fretta. Mangio un pezzo di cioccolato. Bevo. Cambio musica. Cerco dei passaggi per lavorare con una sedia.
A un tratto stumf. Un tonfo. Alzo lo sguardo dal quaderno degli appunti e lo vedo. Il corvo. Stessa scena. Come in una pièce che assomiglia all’assurdo.
Muove gli occhi, becchetta il vetro.
Lo guardo. Mi guarda. Lo guardo.
Che faccio, applaudo?
Ti inserisco nelle prove? Proviamo insieme?
Potremmo. Che una storia d’amore è un po’ come un volo: senza testo, senza soste, senza rete. Decollo, virata, planata.
Stumf.
È sull’atterraggio che occorre lavorare, amico.

Rampa di lancio

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