CXXXVII. Libera nos a malo

Oggi inauguriamo la griglia il fondo al giardino. È nata accanto alla fontana. Entrambe fatte di mattoni grigi, quelli bucati da cantiere, sono spartane ed essenziali come piace a noi.
Bracciodiferro è sceso presto per spazzare davanti alla capanna e preparare la legna, come in ogni rito che esige i suoi tempi.
Noi intanto finiamo i compiti di matematica. Dopo due settimane di vacanze a domicilio, domani la figlia riprende la scuola in presenza, il figlio è ancora in dad per una settimana, ma ce la possiamo fare. Il clima è quello della quiete prima della tempesta. Tesa io al cospetto di una tartaruga ninja che ‘eeh, mamma, un attimo!’ è il suo mantra. Teso il marito chiuso nel bunker da un paio d’ore con il tredicenne che sbuffa e suda manco fosse in piena maratona.
Fuori i passeri si danno arie di primavera, il ciliegio piove petali e imbianca il prato ancora sofferente dopo un anno di lavori. L’erba striminzita si fa coraggio e corteggia le zolle. Ho piantato lavanda dappertutto, il rosmarino è sopravvissuto, dovrebbe scamparla anche lei. Come noi. Cartelle pronte.
È l’una meno un quarto. Olivia Oil si occupa della tavola, le ciotole con i cetrioli e i pomodori ci portano al sud, anche se con il sapore giochiamo di ricordi. Il minicane controlla la cottura sniffando fumo e profumi di legna. Sa che oggi è domenica anche per lui. Ci sediamo e scrolliamo via il malumore aprendo i tovaglioli: il pranzo in famiglia fa subito effetto. Si mangia, si tace, si commenta, ci si compiace.
Siamo una barca che dondola lenta su un mare di cibo. In realtà non è tanto, non più del solito almeno, ma è sufficiente per portarci via da questo inverno di ansie, di insofferenze, di litigi per niente. Dura il tempo di un paio di panini e un’insalata, però basta per far tornare il sorriso.
Faccio il caffè, apro la scatola con i dolci che ci ha portato ieri l’amico capocantiere. Sanno di rosa, mandorla e semolino, sanno di mediterraneo e cura. Mi segno il nome della pasticceria, che a volte è utile più di una farmacia.
La figlia si strofina le mani appiccicose e sale sulla sedia volante.
‘Un attimo!’ stavolta è il marito che frena e rimanda il decollo. ‘Bisogna alzarla’ e ne modifica l’assetto per evitare la collisione a sedile radente.
Sistemata così posso provarla anch’io. Prendo lo slancio, mi lancio, mi lascio andare, volo.
È solo un pezzo di stoffa colorata e corde attaccato a un ramo.
Eppure sembra davvero una via di fuga. O di libertà.

dalla torre di controllo

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