P. Intervallo


Il mare del Nord è pigro a svegliarsi, si stiracchia lungo, lasciando gran posto alla sabbia. La luce sbarca dolce e le persone sono rare alle otto del mattino. Anche alle nove. Alle dieci iniziano a piantarsi gli ombrelloni.
Timidi, si accampano qua a là in punta di piedi. I gonfiabili a metà passeggiata si sollevano verso le undici e il rumore delle onde si armonizza con schiamazzi e cani in conversazione.
Usciamo io e la figlia con calma.
Le sue mille richieste sono declinate al pomeriggio. Ora serve trovare un pranzo senza code chilometriche per colpa del pass. Percorriamo tutta la diga e le immagini delle dune sono fedeli a una fotografia di cinque anni fa.
Ci sono anche il figlio e l’allora adolescente fille del guru, prestataci per le prime settimane di insediamento francese.
Il marito assente per trasferta di lavoro, il minicane perché ancora solo un desiderio.
Fa caldo davvero. Troppo. La tartaruga ninja cinquenne torna a casa con un’insolazione con i fiocchi e la notte la passo mettendola in acqua tiepida ogni due ore. È talmente bollente che potrei farne un brodo.
Oggi di certo non rischiamo il surriscaldamento.
I temerari fanno il bagno, noi camminiamo sottovento e scoviamo Chez Irene, un chiosco quasi libero con patatine fritte e panini. Poteva andar peggio.
Ho guadagnato di diritto venti minuti di siesta.
Chiudo gli occhi sul divano e ascolto le onde che aumentano. L’alta marea prende spazio, la gente si ritrae.
‘Mamma, allora? Scendiamo?’
Nella borsa di tela ha messo il secchiello grande, una paletta e la formina fucsia a fiore: la felicità è fatta di piccole cose.
Mi siedo a bordo campo, la mascotte pelosa appollaiata sulle mie ginocchia abbaia alla qualunque.
Un gabbiano tenta una planata per arpionare una mezza cialda caduta da un gelato. Atterra vittorioso sulla preda. Becchetta e si sposta con quel fare goffo delle bellezze di altri mondi. Un principe dell’aria a terra rende poco.
La gente è variegata di differenze.
Anche fra i tanti cani il San Bernardo passa accanto al barboncino misto Labrador. Un chihuahua convinto tira il guinzaglio di un tipo rotondo che fuma.
La signora pallida al centro della sabbia lancia cibo per aria. Il gabbiano goloso sfreccia nella direzione delle briciole e così altri suoi simili affamati: in un nugolo di ali e becchi arraffano resti di pane e picnic. Una bambina a trecce con un poncho di spugna corre a mani avanti e tenta di toccarne almeno uno. Ma è piccola e instabile. Cade. Ride. Si rialza. Ricade. E ride. Si rialza.
Sembra una danza, una coreografia del buonumore.
E magari basta davvero una risata per rimettersi in piedi.
Intanto il vento freddo dimezza i bagnanti e gli spiaggiati tonano bipedi alle loro macchine. L’altoparlante annuncia l’evacuazione di un tratto di costa per preparare lo spettacolo di stasera. Piove a secchiate un’ora dopo, chissà se lo faranno lo stesso. Ma mentre ceniamo, dal balcone entra il tramonto con le nuvole rosa e alle dieci e mezza, puntuali come da programma, ecco gli scoppi. Venti minuti di fuochi d’artificio incendiano il litorale. Il minicane poco propenso resta sottocoperta. Noi usciamo a fare oooh alle scintille colorate che salgono in cielo con la loro promessa di bellezza.
È un meraviglioso momento, effimero e senza futuro.
Come la nostra fuga. Che finisce domattina.

c’è da spostare un lampione

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