K. Space invaders

Stanno finendo le pizze di là dalla finestra.
Prese all’Heidi, come dice la Fata, che tanto un discount vale l’altro per lei.
Una delle battute ricorrenti è ‘sui monti’, quando assaggia per l’ennesima volta l’ennesimo cibo e chiede ‘l’avete preso all’Heidi? Ma dov’è?’ (da leggere rigorosamente à rebours per il sorriso di sopravvivenza).
Le pizze dicevo. L’ho mangiata in fretta, la mia. Anche la birra l’ho assimilata a grandi sorsi, come se non bevessi da mesi.
È che volevo passare oltre. Rifugiarmi sul terrazzo con la scusa di prendere un po’ d’aria.
Prendo anche una coperta che il vento pizzica e la maglietta non basta.
Mi sdraio sulla fu chaise longue di Star Trek che è perfetta per l’esterno. Chiudo gli occhi.
La figlia chiacchierina continua il suo intrattenimento. Non so come faccia. È un vulcano che esplode in lapilli e anatemi, ma è capace di resettare e repartir à zéro come se niente fosse, anche dopo le più grandi tempeste. Le ho sempre invidiato quest’anarchia del rancore. Spara a caso, ma sempre a salve e poi sorride, fiera e solidale.
Ora conta, non so cosa. Intanto intrattiene.
Il minicane mi raggiunge, mi annusa le calze, si inarca per assaggiare l’aria. Poi rientra, allettato dal cuscino.
Io mi fermo. Ascolto il vento che disturba le foglie, un cinguettio che si allontana in un frullo.
Mi fermo. Mi gira la testa e so che non è colpa dell’alcol. Troppo poco.
Giro ancora con la trottola del giorno che è trascorso in continuo movimento, come quegli assi in equilibrio su palle circensi. Ci si muove sempre per non cadere. O per scansare l’invasione.
Perché gli alieni sono ovunque. Dentro e fuori. Occupano i pensieri, gli spazi, gli istanti, ci costringono alla ritirata, al sottocoperta.
E capita sempre più spesso che anziché invasi ci sentiamo espulsi. Dalla mattina dalla cucina alla sera dal divano.
Così io ogni tanto dichiaro il fuori tutti, si salvi chi può. O chi vuole. O chi ne ha bisogno.
Io. Io. Io.
Mentre il marito sistema i piatti e i figli parlano al telefono con Bracciodiferro e Olivia Oil, io mi rannicchio fuori porta, mi affido alla sera e ascolto.
Ufficiale e Gentiluomo argina la Smemo che si perde in appunti.
Il calcetto riprende un’attività che io a quest’ora vieterei per legge.
A un tratto la figlia esce cantando in un inglese tutto suo e si siede a bordo chaise con quello sguardo attento e sornione che apre tutte le porte.
Le presto metà coperta, mi si accoccola contro.
E restiamo così, a sentire il vento freddo fregandocene di tutto il resto.

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