Cinquantacinque. La memoria dell’olio
C’è nei gesti una storia che si ripete. Nostro malgrado.
Ho finito l’olio e chiedo al marito di aiutarmi a travasarlo dal bottiglione di vetro che ci siamo portati dall’Italia. Sono cinque litri di oro verde regalo della suocera mite e siciliana che lo contrabbanda per posta.
Li ho visti quei filari di ulivi, tanti anni fa, ci ho camminato attraverso. Insieme al profumo di zagara e al mare di Selinunte sono la mia Sicilia, vista poco, amata tanto.
Arriva il figlio e chiede di poterlo assaggiare.
Non lo abbiamo mai fatto davanti a lui, ne sono sicura. Non so perché, ma è un gesto che è diventato raro.
Da quanto tempo non lo ripetiamo? Dalla Grecia, forse.
Dove la padrona di casa bussa con una spanakopita calda.
Pane e olio.
Ne mangio da piccola, quando la vicina e una pagnotta appena sfornata attraversano il cortile.
Mariiia! urla a mia nonna da mezzo metro l’Etna in gonnella. Assaaaggia!
Ci ha appena versato sopra un bel cucchiaio di condimento e il suo sapore unto e croccante stuzzica il mio palato abituato al pane e burro.
Non me lo sono più dimenticato.
Un filo d’olio lega i luoghi e i momenti, li rimbalza nei ricordi: la Sicilia conosciuta da bambina nell’accento del vicinato, la ritrovo da fidanzata in una vacanza in Clio a visitar futuri parenti e cimiteri assolati.
Il mio albero preferito cosa mi combina.
Ce l’ho davanti per anni la mattina quando spalanco le persiane, fasciato d’inverno, che in Lombardia di freddo si muore. Mentre in ogni novembre greco, lungo la salita di casa, conto le olive appese sui rami, migliaia di decorazioni natalizie in anticipo.
So che dobbiamo portare i figli sulla piana di Assisi, a vedere la distesa di foglie d’argento che ringraziano il sole.
Ma per ora riprendiamo quel rito antico che pure il marito ha nel dna.
Il pane è profumato, l’olio ci cola a puntino.
Il figlio lo annusa e lo addenta vorace.
La figlia è perplessa, diffidente un tantino. Poi anche i suoi geni hanno il sopravvento, radici sconosciute che le risuonano dentro. Chiude gli occhi e morde golosa.
La memoria si crea a parole e si cura nei gesti.
Anche qui al nord dove il sud è vacanza, non certo tempo quotidiano. Eppure. Forse basta solo rompere gli schemi, portare con noi le abitudini altrove.
Come questo tempo sospeso che sta per finire.
Che buon gesto di oggi terrò dopo?
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