Cinquantasette. Storia di una canzone
Non partecipiamo al flash mob.
Il lampo di folla in rete che canta Bella Ciao nelle case italiane l’abbiamo curiosato dopo. Postato da tanti.
Noi alle tre siamo in giardino a strappare erbacce, la nostra personale forma di resistenza. Il marito ha deciso di ripulire una parte del viale che porta nulle part e la squadra si è attivata. Mentre lui zappa ricordandosi di avere attrezzi e muscoli adatti, la figlia spazza a colpi di saggina. Manovra la scopa come una strega stellata e mi aspetto che spicchi il volo in un balzo. Il figlio, a cavalcioni della bici, percorre il tragitto delle erbe, spostando radici e schiacciando terra, in alternanza. Il minicane osserva sdraiato al sole della finestra spalancata. È in riposo da convalescenza, per oggi dobbiamo far senza. Io porto frullato e caffè e approfitto della riunione familiare per ricordare.
Com’è nata la nostra canzone.
Dieci anni fa ci hanno appena messo nel programma di recupero genitoriale – citando Leo Ortolani ne ‘La vita cambiata da due poliziotti molto bassi’ – e facciamo la spola casa istituto per conoscere il duenne futuro divoratore di cioccolato.
Il nostro primo incontro è alla festa di Carnevale. È vestito da zucca, evidente riciclo di Halloween, e ha una foglia di pezza che in testa non gli sta. Giochiamo con tutti, l’approccio è a distanza. Non è ancora il momento per le presentazioni, le istruzioni sono chiare.
Una settimana dopo però sdoganano la pratica e precipitiamo nel tunnel dell’accudimento rapido. Dobbiamo imparare in fretta per portarlo a casa senza danni.
Prima tappa: lavarlo.
Pesa già quei dodici chili tutta salute che vanificano lavandini o affini. Tanto più che, dal momento in cui i bambini stanno in piedi, lì da loro usano il sistema idrante. Piazzano il pargolo in piedi in un angolo del bagno e lo innaffiano come all’autolavaggio, spazzole e schiuma compresi.
Ancora oggi il figlio non ama fare la doccia dall’alto.
E in quella mattina di marzo, in cui per la prima volta tocca a noi occuparci della sua igiene, urla. Urla appena sente l’acqua che scorre. Urla mentre tentiamo di passargli la spugna sulla schiena. Urla quando prendiamo il sapone. Intorno sono pronti a intervenire. No, grazie, ce la caviamo.
Già, ma come si fa?
Io e il marito ci guardiamo. Abbiamo dieci anni meno e un pizzico di incoscienza in più.
Una mattinaa, mi son svegliatoo,
o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao.
Una mattinaaa, mi son svegliatooo
e ho trovaatoo l’iinvaasoor.
Parte così, il nostro canto di resistenza e liberazione.
L’effetto sorpresa interrompe le urla, è un attimo, ma basta per lo shampoo.
Le note si mischiano alle proteste, la melodia scandisce la fine dell’umido supplizio.
La nostra famiglia nasce qui, con un pettine rotto in mano e dei vestiti nuovi, su un campo di battaglia scivoloso e incerto, con una colonna sonora pulita in un mondo arruffato.
Ci si raddrizza la schiena quando la intoniamo, che è un inno perbene.
È una canzone libera che abbatte virale e virtuale.
Bella Ciao è una questione personale.

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