Ottantatré. Il piacere della bici

Che meraviglia pedalare!
Il silenzio del vento che ti coccola le orecchie, il movimento regolare accordato con il respiro. Verdi foglie, blu cielo, fiori rosa e arancio sparsi in libertà. Una famiglia di cigni con i loro sei brutti anatroccoli che fanno prove di tuffi.
Lo viviamo oggi, tutto questo, ma prima ce lo dobbiamo sudare.
Risveglio nervoso. C’è chi vorrebbe dormire un po’ di più. Oggi qui è festa e, non potendo celebrare in altro modo, vorrei santificarla a letto.
La libertà di culto, ahimè, spesso è solo teoria.
Le smorfie di disappunto vanno però trasformate in sorriso e decidiamo di uscire subito per un giro in bici tutti insieme. L’entusiasmo generale mette le ali. La figlia è quasi vestita, il figlio già sceso a sistemare le due ruote. Che le mie hanno bisogno di un’energica spolverata e di aria nuova nelle camere d’aria.
’Qualcuno sa dov’è la pompa?’
Al suo posto non c’è, perché non c’è più neanche il garage com’era prima. I lavori in corso ci hanno costretti a stipare quaranta metri quadri in sei. La casetta in fondo al giardino è una bomba ad apertura sconsigliata. L’oggetto dei desideri dovrebbe essere lì dentro ma.
Suonano alla porta.
Magari è la pompa che si è trovata da sola.
No, purtroppo.
È il capo del nostro cantiere. È venuto per un veloce sopralluogo con il signore della betoniera.
Se ne vanno dopo un’ora di chiacchiere e misure.
Il figlio freme.
Della pompa ancora nessuna traccia.
Il calo di zuccheri delle undici e mezza si fa sentire.
Lancio una banana di conforto e propongo gita con picnic, mentre aspetto il marito uscito a comperare l’assente.
Gli zainetti sono pronti, la figlia anche.
Purtroppo il soccorritore scende dalla macchina, abbassa la mascherina e scuote la testa. La coda fuori dal supermercato era infinita, facciamo prima a svuotare la casetta.
Ci sono i vicini sul balcone.
‘Non è che magari per caso avete…’
Vivere in un posto piatto ha i suoi vantaggi. Vanno tutti in bici.
E che l’aria sia con voi.
Il minicane uggiola vedendoci partire, ma scommetto che fa parte del ruolo. Sarà già sul mio cuscino a continuare per me la festa del sonno, mentre noi, a mezzogiorno e trentacinque, stiamo finalmente viaggiando lungo il canale.
Di gente intorno ce n’è, ma abbiamo il kit di protezione in tasca e raggiungiamo in fretta la zona semideserta. Dove finalmente ci possiamo godere il piacere della bicicletta.
Il figlio pedala sereno, la figlia tace.
Il giorno è incantato.
A un tratto l’incantesimo si spezza e il marito annuncia: ho bucato.
Tempismo perfetto. Dopo un’ora di andare si cercava giusto la sosta per mangiare.
Fa caldo. Troviamo l’ombra che ci serve per svuotare gli zaini e riempire le pance.
Poi ci rimettiamo in sella per un ritorno a singhiozzo.
Il marito spinge il suo destriero ferito, noi avanziamo a staffetta e ci fermiamo lungo il percorso, aspettandolo. La figlia approfitta di ogni panchina per sedersi a leggere. Ogni volta si toglie il casco e beve un sorso d’acqua. Su dieci chilometri lo fa almeno sei volte. Colta e idratata.
Il figlio va avanti e indietro, per non perdere nessuno. Arriva a casa e lo possiamo strizzare tanto è sudato.
Il marito ha un passo regolare, diluisce calore e stanchezza. Sarà l’allenamento alla pazienza che rinforza con i puzzle, sarà l’abitudine a cambiare la rotta, l’imprevisto lui lo gestisce da gran professionista.
Io no. Ma fingo benissimo.

andata e ritorno





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