XXXI. Psomì
‘Mamma mamma, posso andare a vedere il suo cane? Per favore! Tipregotipregotiprego!’
La figlia mi saluta così sul cancello della scuola. La richiesta urgente prima ancora dei saluti.
‘S’il vous plaît…’
Si unisce con una punta lamentosa la compagna che le saltella al fianco. Quasi a supplicare un cerbero che smista gli incontri.
Dite a me? Quella che si ferma ad osservare le farfalle anche se è in ritardo? Sarà la maschera che mi dà l’aria arcigna. Saranno i capelli pettinati alla gorgone. Ma, signorine belle, nonostante l’effrayant aspetto mitologico sono pur sempre io. No?
Immagino allora che il cane sia in qualche anfratto sperduto, che si debba camminare in una grotta bassa e buia per arrivare al suo rifugio. Insomma, una cosa così.
‘Dai, mamma, posso? Guarda com’è carino’
Mi giro e lo vedo, il quadrupede. C’è anche un umano che lo tiene al guinzaglio.
È un po’ puzzolente. Il cane. Si chiama Psomì.
‘Ça signifie pain en grec’
Eh lo so, caro signore, nei miei anni greci c’era un gatto che chiamavo Nerò, acqua. Veniva tutti i giorni a mangiare sul terrazzino insieme agli altri, ma non si fidava.
‘Comme lui’ e il nonno inizia la storia mentre le due fan si gettano sull’aromatica star del giorno.
Ci è voluto del tempo prima che si abituasse a lui e alla sua copine che se ne occupano una settimana per uno. Strano ménage, ‘sti fidanzati attempati. Ma taccio. L’urgenza del racconto non ammette commenti.
Arriva da Creta, era un randagio che gironzolava intorno alla casa di un suo amico nei sei mesi che passava al sud. Si sono conosciuti a poco a poco e poi mai più lasciati. Finché.
Qui salta un pezzo. Accenna a una donna che lo mette in un rifugio per cani in Francia. Ma lui e la sua compagna appena lo sanno corrono ad adottarlo. A turno.
Non cerco di colmare il buco narrativo. Immagino un’assenza definitiva di cui il signore non voglia parlare.
‘On y va? Il a rendez-vous chez le coiffeur’.
E mi pareva che le pain avesse bisogno di un bel
bain.
Lo guardo che scodinzola basso affamato di coccole.
Ma quante ne hai viste, caro Psomì, quante vite hai vissuto, rincorso, sfiorato.
Ti tocca fidarti un’altra volta. Di questa vita che hai ora.
Sperare che sia quella buona.

ancora un altro cielo