CII. A poi
Siamo in piena fase scontro. Con la figlia.
Non ancora dieci anni e già contestatrice. E chiusa libera in finale di discussione. Tradotto: l’ultima parola è sempre la sua.
Mi ci voleva una controfigura così. Mi giro e mi vedo, bambina maschiaccio, adoro mia madre. Ricordo un tema sulle sue mani. Scrivo che sono sciupate per il tanto lavoro e lo sottolineo con ammirazione. Amo la sua pelle non più liscia.
Lei finisce di leggere, dà un’occhiata al bel voto. E fa una battuta del tipo ‘e pensare che mi metto sempre la crema’. Ci rimango male. Sono piccola, non capisco le sfumature dei sentimenti.
Ora sentirei in quella frase l’imbarazzo pudico dell’emozione.
Ora so che tra congiunti spesso si fraintende, ci si ingarbuglia nelle parole, si pasticciano i gesti.
L’amore è una matassa arruffata da dipanare.
E tra madre e figlia prima di tutto occorre non perdere il filo.
Non ho nessun merito per la sua bellezza, solo colpe nella lenta oscurità che precede i suoi passi. L’espressione tendenza è il broncio. Impegnato. Ostinato. Si è allenata settimane per non scoppiare a ridere. Ogni tanto le sorprendo un guizzo negli occhi. Faccio finta di niente. Le reggo il gioco.
È lei l’attrice di famiglia, l’ho sempre saputo. Non sottovaluto la sofferenza del crescere, il vedersi in crisalide al posto delle guance paffute. Ma credo che ci sia un buon livello di gioco al massacro. Di me, mater dei miei stivali. Donna di riferimento suo e mio malgrado. E specchio davanti al quale sperimentare boccacce e musi lunghi.
È più di un mese che ho nascosto il suo regalo di Natale in garage, impacchettato e infilato in un anonimo cartone. L’ho pensato, condiviso e deciso con il marito, scovato, recuperato e incartato con l’emozione di un’attempata sognatrice che tenta di fornire strumenti di rêveries alla piccola canaglia.
E ora, quasi al traguardo della scoperta, mi chiedo se ne sarà contenta, se la conosco ancora, se ho azzeccato o sbagliato di nuovo.
Perché in effetti qualsiasi recente rottura, iattura, frattura è mea culpa. Sono la responsabile diretta e indiretta di ogni giro storto del vento. Pure se piove. Però ‘non è grave’ mi concede in chiusura. Come se in fondo lo sapesse che ‘sta povera genitrice fa il possibile, certo, ma proprio non ci arriva.
Il mito che crolla è un fragore in sordina. Fa rumore nel cuore, ma sssh, zitti tutti, che dirlo non si può.
Sorrido, accuso il colpo, mi incasso, a volte anche in zeta.
Lascio fare e mi siedo a tavola. Lei arriva dopo, non si siede, si installa. Si mette in scena. Mangia a rilento ed esaspera l’altra metà educativa, padre coraggio, siamo solo all’inizio.
Litigare non serve. Miss Pochette ha una riposta per tutte le occasioni.
Sarò sempre la tua più grande fan, figlia anarchica e ribelle, ma adesso, per favore, finisci le tagliatelle.
