CXLII. Tappa buchi

Fino all’ultimo non si sbilancia.
‘Intanto andiamo, mamma, poi vedo’.
Come se fosse una gita di piacere, come se il centro commerciale fosse la meta ambita di un venerdì pomeriggio nel pieno sole di giugno.
Ma obbedisco. Passo a prenderla a scuola, solo noi due. Che diventa un bel momento nostro da ricordare. Se si fa. Se.
‘Allora?’
Niente. Ancora non sa. Sale in macchina, si toglie la mascherina, si allaccia la cintura.
Io guido e lei parte.
‘Ho chiesto in giro – la prende larga – le mie compagne dicono che c’est rien, rien du tout, bah…ça picote, non, plutôt ça pique, en effet ça fait un peu mal…’
Il sondaggio non aiuta molto, ma per fortuna i dati raccolti si fermano qui. Seguendo l’escalation rischierei di doverla portare direttamente aux urgences.
Io del resto non faccio testo: se vedo una siringa comincio a sudare. La farfallina dei prelievi l’hanno inventata per me, che con l’ago capace che svengo. Qui però si tratta di una pistola. Un colpo ed è fatta. E che sarà mai. Su.
‘Un attimo, mamma, adesso decido’
Varchiamo l’ingresso del mostro a cento negozi e camminiamo lungo un corridoio di luci al neon che mi sembra infinito. Non sono più abituata. Da un anno e mezzo la spesa la faccio nei due supermercati xs vicino a casa. Negli xxl, spazi sconfinati e stracolmi, non ci ero più entrata. Mi sento piccola e un po’ persa.
Lei mi prende la mano. Ci siamo.
Ho telefonato l’altro giorno. Da quando il protocollo reale si è un po’ allentato, non serve più prendere appuntamento e non dobbiamo aspettare fuori.
È un bel passo. È il regalo dei nonni per i suoi dieci anni, non goduto subito perché compiuti in clausura. La sua amica del cuore ha avuto lo stesso, ma con più fortuna, perché a Tahiti a fine marzo le gioiellerie erano aperte. Ho tentato di aggirare l’ostacolo e giocare d’anticipo chiedendo in farmacia se li facessero anche loro.
Ici, madame, on ne fait pas de choses pareilles’
Eppure non era un’idea tanto balzana. Dopotutto si interviene con un ago sterile.
Ecco, quello mette un po’ paura. A pensarci.
Ma prima scegliamo l’orecchino, dai. E qui l’indecisione è spazzata via dal luccichio di due farfalle rosa, anzi no, fucsia, come precisa da sempre la figlia a proposito del suo colore preferito.
Il commesso si prepara con cura per l’operazione: libera i tatuaggi sollevando le maniche bianche della camicia, toglie un numero imprecisato di anelli dalle dita, lava le mani con abbondante gel disinfettante.
Lei si è arrampicata sullo sgabello e ascolta attenta il manuale del piccolo piercing.
Niente piscina per sei settimane.
Cavolo, proprio adesso che l’hanno appena riaperta e quando ci andiamo? andiamo? ma quando ci andiamo? era il tormentone degli ultimi giorni.
Oooh, c’est pas grave’ se è stoica, allora è decisa. Toglie la mascherina e si aggrappa alla mia mano.
Il tizio segna con un pennarello i punti da centrare, chiede il consenso, raccomanda di non muoversi e avvisa che conta fino a tre. All’uno ho perso la sensibilità delle dita. Al due il primo buco è fatto perché il tizio bara.
Siamo a metà dalla meta.
Dato che il trucco truccato dell’un deux trois è vecchio, quello spara al primo ed è fatta.
Sospiro, specchio, sorriso.
Le compro un gelato al cioccolato per festeggiare.
Se lo mangia lenta, appagata.
Al ritorno a casa danza in giardino insieme alle sue farfalle. Le galline dei vicini arrivano curiose a sbirciare mentre lo racconta attraverso la rete al suo amico d’altalena.
La foto di rito, la telefonata ai nonni, la prudenza nel pettinarsi e l’orgoglio di un’immagine nuova.
La paura, quella, ormai è passata.

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